Sebbene non sia formalmente il Presidente del Consiglio, è indubbio che sia Matteo Salvini il vero leader del Governo. Un leader forte ed efficace, capace di portare la Lega dal 4% al 34 misurato negli ultimi giorni, coronando così un’ascesa oramai inarrestabile. Oggi non sono pochi gli osservatori che si interrogano sul futuro di Salvini e del suo consenso, ovvero se sia più simile a Matteo Renzi, un leader destinato a lasciare il segno ma a spegnersi presto, o a Silvio Berlusconi, un politico che ha portato al 30% un partito inventato dal nulla pochi mesi prima, e che ha poi dominato la scena politica italiana per più di vent’anni.
La recente esperienza renziana suggerisce che la nuova generazione di leader sia “destinata ad esaurirsi rapidamente”, per usare una frase di Fabio Bordignon su Il Mattino di Padova (il quale poi avverte che “non tutto è necessariamente segnato”, richiamando al “libero arbitrio del leader”). Una generazione di leader vittima della fast politics, della velocità finalizzata al consenso nel brevissimo termine che obbliga a trascurare – e talvolta a dimenticare completamente – il lungo termine. Nasce così il “paradigma di Icaro”, come sono solito definirlo.
La fast politics, quando è sapientemente governata e diretta, porta un consenso elevatissimo nel breve termine. Portò Renzi al 40.8% delle europee, per farlo poi crollare portandosi con sé il Partito Democratico sotto il 20% pochi anni dopo. Perché, come Icaro, il leader che cavalca la fast politics “si avvicina al sole”, e lo fa troppo in fretta
La fast politics, quando è sapientemente governata e diretta, porta un consenso elevatissimo nel breve termine. Portò Renzi al 40.8% delle europee, per farlo poi crollare portandosi con sé il Partito Democratico sotto il 20% pochi anni dopo. Perché, come Icaro, il leader che cavalca la fast politics “si avvicina al sole”, e lo fa troppo in fretta. Rischiando di bruciarsi in modo clamoroso: perché è facile deludere le aspettative quando sono troppo alte e l’asticella si alza costantemente. È questa la ragione di tante eclissi politiche recenti. Tutte hanno investito politici emersi nello scenario politico con piglio deciso, e una leadership a carattere carismatico più adatta a una rockstar che a un politico tradizionale.
Non va trascurato tuttavia che gli italiani nella storia hanno dimostrato di saper apprezzare leadership forti e durature. Ultimo tra tutti Silvio Berlusconi, che ha dominato la scena per più di un ventennio. Un leader meno attento alla velocità, sempre concentrato a tutelare i segmenti elettorali a cui si rivolgeva, con messaggi forti e semplici, reiterati all’infinito. Un leader accusato per tanto tempo di “parlare alla pancia degli italiani” quando invece ne ha saputo interpretare le passioni profonde, dalla tv al calcio, dal cinema alla musica alle donne. Una fetta importante degli italiani si è riconosciuta in Silvio Berlusconi per anni: è stato tra i primi a capire che il linguaggio politico non funzionava più, e che bisognava iniziare a sdoganare le battute, le ironie, anche qualche parolaccia.
Certo, l’avvento dei social ha portato con sé esigenze che Berlusconi non ha dovuto tenere in considerazione nella sua fase di maggior consenso: la necessità dell’immediatezza, di dettare l’agenda giorno dopo giorno, di intervenire per primo con più radicalità su ogni tema. Berlusconi non si è mai adeguato a questi tempi di comunicazione frenetica (e l’inizio del suo declino coincide forse non a caso anche con il trionfo dei social): ha sempre preferito le grandi proposte che dettavano l’agenda per settimane al dominio quotidiano dell’agenda che ha caratterizzato Renzi e ora Salvini.
Il destino del leader leghista non è segnato, questo è certo. Può bruciarsi in fretta, portando con sé un partito ormai modellato a sua immagine e somiglianza
Una caratteristica di Berlusconi, poi, è sempre stata la rimonta: è sempre stato soggetto a cali – e talvolta a crolli – di consenso, ma quasi sempre è riuscito a rialzarsi, soprattutto in periodo elettorale. Non è stato sempre sulla cresta dell’onda in questi anni, anzi, spesso è stato dato per morto. E dopo ventiquattro anni, arrivato ormai a un livello di declino non reversibile, rimane ancora a livelli di fiducia superiori rispetto a Matteo Renzi: l’ultimo Atlante Politico di Demos vede Berlusconi a un indice di fiducia del 29% contro il 23 del leader Pd. Il destino del leader leghista non è segnato, questo è certo. Può bruciarsi in fretta, portando con sé un partito ormai modellato a sua immagine e somiglianza. O potrà rimanere sulla cresta dell’onda per lungo tempo.
Sarà decisivo il tipo di leadership che saprà incarnare nei prossimi mesi: una leadership al servizio di una fast politics dell’immediato, o una leadership più attenta al lungo termine e meno totalizzante mediaticamente. Di sicuro, fino ad oggi ha sbagliato molto poco, e il suo trend è di ascesa inarrestabile. Ma stia attento: avvicinarsi al sole è sempre un grande rischio.