Stefano Cucchi, ora si può davvero fare giustizia: e Ilaria merita un premio, non solo le scuse

La confessione del carabiniere Francesco Tedesco riapre il caso Cucchi: fu pestato a sangue da due Carabinieri. Ora chi ha coperto i colpevoli si deve dimettere. E l’Arma deve tributare scuse e onori a chi a cercato la verità più di chiunque

I veri colpevoli del caso Cucchi chi sono? I responsabili di un abominio che solo in questo caso corrisponde al nome di Stefano e al cognome di Cucchi ma che in realtà ogni anno prende nomi e cognomi diversi, preferibilmente stranieri, comunque quasi tutti indifesi perché poco difesi e con troppi pochi strumenti per difendersi, chi sono? Se davvero il processo accerterà le responsabilità dei Carabinieri che hanno ucciso Stefano a forza di botte piuttosto che custodirlo com’era il loro dovere (e il loro mestiere) rimane da capire come sia potuto accadere che per nove anni (nove anni da immaginare in fila, giorno dopo giorno) ancora una volta un pezzo dell’Arma dei Carabinieri si sia fatta corporazione e abbiamo permesso gli sputi, la merda, il fango, i soprusi morale, le ferite affettive che la famiglia Cucchi (e il ricordo di Stefano) hanno dovuto subire da alte cariche dello Stato.

La domanda, di fondo, è come sia possibile che un corpo militare dedito alle indagini abbia potuto essere talmente vigliacco da non indagare (se non addirittura depistare, sarà il tribunale a deciderlo) lasciando pista libera agli avvoltoi di ogni genere e grado che sul cadavere di Cucchi (e di tutti gli altri) hanno potuto esibire la propria misera forza di forti contro i deboli.

Se non fossero Carabinieri, se stessimo parlando di un una qualsiasi compagine di governo, un caso Cucchi determinerebbe le dimissioni dei più alti in grado, non si farebbe bastare l’eventuale condanna di due maneschi in divisa e qualche rimbrotto.

Se non fossero Carabinieri, se stessimo parlando di un una qualsiasi compagine di governo, un caso Cucchi determinerebbe le dimissioni dei più alti in grado, non si farebbe bastare l’eventuale condanna di due maneschi in divisa e qualche rimbrotto

E attenzione, fermi tutti, da queste parti non attacca la retorica destrorsa di chi divide come nel Risiko la sinistra contro i militari e nemmeno questa svilente tiritera per cui se si parla dell’Arma diventa obbligatorio chiarire ogni volta che si tratta di episodi isolati in una compagine che ha visto (e vede ancora) protagonisti giusti, con la schiena dritta, dediti al senso dello Stato e tutto il resto. Quando arrestano un idraulico non si leva un grido incazzoso dell’associazione nazionale degli idraulici a difendere la categoria e se un ingegnere compie un omicidio non si sentono sporcati tutti gli altri ingegnerei. Per cui, mi spiace, basta anche con questo tedioso cappello.

Ho vissuto personalmente per un decennio con i Carabinieri al seguito, ventiquattro ore al giorno, dividendo con loro la paura, la protezione, il primo giorno di scuola dei miei figli, le vittorie più esaltanti e le solitudini più ammorbanti: dover scrivere non sono tutti così è una smanceria che non interessa a chi lavora sul campo (come in tutti i campi) consapevole della rettitudine nel proprio mestiere.

Da Genova alle indagini sulla morte di Borsellino passando per i depistaggi sull’omicidio Impastato per poi passare a Aldrovrandi e tutti gli altri la difesa d’ufficio è stato il falso sinonimo della vigliaccheria di chi si protegge calpestando la giustizia, i diritti e la verità. La credibilità si costruisce, da sempre, con la severità che si pratica con i propriamici piuttosto che con i nemici.

Da Genova alle indagini sulla morte di Borsellino passando per i depistaggi sull’omicidio Impastato per poi passare a Aldrovrandi e tutti gli altri la difesa d’ufficio è stato il falso sinonimo della vigliaccheria di chi si protegge calpestando la giustizia, i diritti e la verità

E anche su questo forse sarebbe il caso che qualcuno prenda coscienza che il vento è cambiato: se Salvini è corretto a fare marcia indietro (pur con l’unto delle sue scuse in cui si scusa di essersi scusato più che preoccuparsi degli umiliati dalle sue parole) è perché l’infallibilità delle forze dell’ordine è un mito che sopravvive in qualche sede di nostalgici e perché è chiaro (quasi pop) che un tutore della legge che contravviene alla legge è una cosa che fa schifo, a quasi tutti. Il caso vuole (se non l’avete letto in giro) che proprio ieri sia stato condannato a 4 anni e 8 mesi anche uno dei due carabinieri accusato di violenza sessuale nel caso delle studentesse americane. Povero Salvini, e poveri i salvini.

Il caso Cucchi però ci dice anche altro: un film (oltre all’appassionato accanimento per la verità della sorella Ilaria e della famiglia) è riuscito forse a aprire una crepa lì dove non erano riuscite la politica e la mobilitazione. E anche questa, in fondo è una notizia che fa ben sperare: se l’arte funziona significa che certi pori sono ancora aperti, nonostante tutto.

Si potrebbe fare così: togliere i gradi a qualche alto ufficiale troppo compiacenti e darli a Ilaria Cucchi, piuttosto. Se la ricerca della verità e della giustizia è uno dei comandamenti dell’Arma allora la sorella di Stefano è perfetta per il ruolo.

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