“George Soros telefonò a Alexis Tsipras per chiedere che venissi cacciato”. Così ha dichiarato l’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis durante un’intervista alla televisione privata Skai Tv. “Soros ha preso il telefono per me solo una volta. Quandò chiamò Tsipras per chiedere la mia espulsione”. Per il resto, tra lui e Varoufakis non ci sono stati altri rapporti.
Le affermazioni dell’ex ministro arrivano come risposta al ministro della Difesa Panos Kammenos (ex collega, insomma), che aveva affermato che l’accordo di Prespes, quello con cui la Macedonia aveva deciso di cambiare il proprio nome, era stato pagato da Soros. E, già che c’era, che Varoufakis fosse uno dei tanti al soldo del milionario ungherese.
Non è vero, ha risposto l’ex ministro delle Finanze. Anzi. “Kammenos”, ha aggiunto, “è come Orban, Salvini e gli altri populisti di estrema destra: quando vogliono attaccare la reputazione di qualcuno dicono che è pagato da Soros”. Un atteggiamento che raccoglie il frutto dell’antisemitismo (Soros è di origine ebraica) e lo convoglia in una forma non proprio inedita nella lotta politica.
Nel caso di Varoufakis, insomma, l’affermazione è del tutto falsa. Perché Soros non solo non lo paga ma al contrario ne ha chiesto l’allontanamento dal governo.
È il tipico caso in cui la smentita di una notiza contiene una notizia ancora più grande: davvero Soros può comandare a bacchetta il presidente di un Paese (più o meno) sovrano come la Grecia? E davvero ha chiesto di cacciare Varoufakis? E perché Tsipras si fa dare ordini da lui? Tutte cose che, a questo punto, andrebbero spiegate. Altrimenti si rischia di dare ragione ai “populisti di estrema destra”.