Cultural Stereotype1998, l’anno in cui la musica pop esplose definitivamente (per non tornare mai più)

Sono passati due decenni da un anno che, per certi versi, ha rappresentato l'ultimo vero periodo d'oro dell'industria musicale. A guardarla ora, è la fotografia di un mondo che stava cambiando (e che non tornerà più)

My Heart Will Go On di Cèline Dion e I Don’t Want to Miss a Thing degli Aerosmith (curiosamente, due canzoni strappalacrime che trainavano — e si facevano trainare — da due dei più grandi successi cinematografici di quegli anni come Titanic, a dire il vero, tra i più grandi successi di sempre, e Armageddon); ma anche Believe, che segna il ritorno di Cher nelle vette della classifiche internazionali con una hit in pienissimo stile euro-dance con tanto di vocoder e atmosfera onirica che a qualcuno avrà fatto storcere ben più di un naso. Oppure, The Miseducation of Lauryn Hill e Mezzanine dei Massive Attack; Is this desire? di PJ Harvey, A Thousand Leaves dei Sonic Youth e il capolavoro In the Airplane Over the Sea dei Neutral Milk Hotel. Gli Oasis primi in classifica in Inghilterra con All Around the World, un singolo da SETTE MINUTI il cui video Mtv mandava a ripetizione senza preocupparsi che gli adolescenti cambiassero canale. Natalie Imbruglia che spezzava cuori con la facilità con cui noi rompiamo le fette biscottate al mattino con Torn (a cui segue un immediato rilancio con Unforgivable Sinner di Lene Marlin). I Goo Goo Dolls che, stufi di essere una band underground, rompono ogni record del tempo piazzando Iris al vertice della classifica di Billboard per diciotto settimane. I New Radicals che improvvisamente si attaccano nelle orecchie di tutti con You Get What You Give. E che dire di Celebrity Skin delle Hole, momento apicale e al tempo stesso conclusivo del meccanismo di appropriazione con cui le major hanno saccheggiato in lungo e in largo il cadavere del grunge dopo il successo di Nevermind dei Nirvana? Ma soprattutto, l’esplosione dell’idolo pop che sembrava destinato a scrivere pagine e pagine di costume e ridefinire i canoni dell’industria: Britney Spears, che quell’anno sgancia la bomba …Baby One More Time. E potrei continuare così per altre diecimila battute, perché a percorrere quello che è stato il 1998 in musica sembra davvero di essere stati dentro un passaggio generazionale forse, alle attuali condizioni, irripetibili.

Sono passati vent’anni. Un’eternità. Ve lo ricordate, il 1998? Qualche indizio. Il supporto più venduto per ascoltare la musica, il cd, stava per raggiungere il suo punto apicale giusto un anno prima della nascita del killer definitivo: Napster. Il Presidente degli Stati Uniti era Bill Clinton (e quell’anno avrebbe avuto qualche problema con il sexgate). Il Regno Unito era in piena luna di miele col suo nuovo premier, il giovane e brillante Tony Blair. In Italia, va beh, il dibattito era diviso tra Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi e tra le canzoni simbolo di quell’anno c’era Le cose della vita, duetto tra Eros Ramazzotti e Tina Turner (giusto perché dobbiamo sempre farci riconoscere). Tutte le tendenze musicali in voga in quegli anni trovavano i loro quindici minuti di notorietà. C’era il pop zuccheroso e romantico che dominava ovunque (ehi, ciao Savage Garden di Truly Madly Deeply!), ma c’erano anche le boy-band e le girl-band che dettavano la linea per le teenager di tutto il mondo: i Backstreet Boys, i Boyzone, i 5ive – ve li ricordate? – e le All Saints. Geri Halliwell lascia le Spice Girls – che in quell’anno pubblicano Viva Forever – e Robbie Williams pubblica Angels, forse il suo pezzo più famoso… e significativo, aggiungo). C’erano gli ultimi singulti dell’indie che si mostrava dalle parti del mainstream, con le già citatieHole e i Goo Goo Dolls, ma anche Smashing Pumpkins, e gli eterni R.E.M. che in quell’anno pubblicano Up. C’era il brit-pop che mostrava i muscoli con gli Oasis, appunto, ma anche i Placebo di Without You I’m Nothing ma soprattutto i Pulp di This is Hardcore. C’erano i Massive Attack e Fatboy Slim. Un gruppo francese, gli Air, indica una strada che sarebbe stata battuta in lungo e in largo tra pop e elettronica con Moon Safari. Poi c’era il successo di tutte quelle band tipicamente americane che facevano un rock onesto e melodico, capace di sfornare una hit fantastica e poi sparire per sempre salvo ritornare poi nelle serie tv di qualche anno dopo come i Matchbox Twenty (3 AM) e i Semisonic (Closing Time). E c’era tutta una generazione di artisti a metà strada tra hip-hop, soul e r’n’b che di lì a qualche mese avrebbero vinto definitivamente la sfida dell’egemonia delle classifiche pop (Usher, Jay-Z, Puff Daddy). Senza dimenticare i vecchi leoni come Madonna, che pubblica Ray of Light, e gli u2, con la mediocre The Sweetest Thing. Insomma, non solo ce n’era per tutti i gusti, ma tutti quei gusti erano in qualche modo significativi.

Visto adesso e cercando di svestirlo di ogni minimo afflato nostalgico, il 1998 sembra davvero un anno in cui la musica riusciva ancora a dare l’idea di essere una colonna sonora significativa per milioni di persone nello stesso momento. Dove non era importante solo il discorso della nicchia, ma anche – e forse soprattutto – il discorso della totalità. E in effetti percorrere le classiche e gli articoli che raccontano quell’anno (tra cui consiglio Pitchfork, capace di fare il punto sull’underground) si vede perfettamente la fotografia di un mondo che non c’è più. Mtv trasmetteva musica tutto il giorno e registrava altissimi indici d’ascolto, influenzando e orientando i gusti degli adolescenti. I negozi di dischi erano ancora luoghi capaci di intercettare l’ascoltatore occasionale che voleva comprarsi i singoli di Cèline Dion e i nerd all’ultimo stadio che dopo aver preso in giro quei primi, perdevano tutto il pomeriggio a disquisire su quanto fosse figo The Shape of Punk to Come dei Refused (spoiler: tantissimo), immalinconirsi con The Boy with the Arab Strap dei Belle & Sebastian e cercare i riferimenti incrociati in Mutations di Beck. In effetti essere nostalgici è inutile non solo perché “quei pomeriggi non torneranno più”, ma perché stiamo parlando di un’altro mondo cui non potremmo più tornare. Prima di tutto, perché l’anno dopo era appunto arrivato Napster a cambiare l’industria musicale per sempre (per certi versi distruggendola); inoltre, perché era ancora un mondo senza Google, che debutterà online solo alla fine dell’anno (a proposito, date una lettura a The Game di Alessandro Baricco per leggere del cambio fondamentale incorso in quegli anni)… e poi avete mai provato a guardare adesso Mtv? Ecco.

La maggior parte degli artisti di quell’anno sono ancora in giro, molti fanno se possibile ancora più schifo e sono ancora più ridicoli di quanto già non fossero. Soprattutto, e questo deve farci pensare molto, riempiono ancora stadi e palazzetti a dimostrazione che la nostalgia è davvero l’ultimo motore del mercato musicale che ci è rimasto. È un discorso lungo, ma un gesto di maturità da parte nostra sarebbe tornare ad ascoltare queste canzoni (e questi dischi, che all’epoca venivano ancora pubblicati con l’idea di essere ascoltati dall’inizio alla fine e aveva un senso: provate voi a spezzettare l’ascolto di The Miseducation of Lauryn Hill senza perdersi le infinite sfumature di quel capolavoro) senza vestirle di qualsiasi significato sociologico particolare, senza leggerle come lo spirito di un tempo migliore, senza farne una questione di bandiera. Era così, si vendeva a caterve, ed era giusto investirci. Le cose cambiano e si evolvono. Adesso non solo non abbiamo più le musicassette, ma nessuno compra tanti cd come un tempo (e quando vi dicono che “il vinile è tornato” forse fareste meglio a guardare i dati di vendita: è una leggera esagerazione), le vendite di chitarre sono drasticamente calate e chi è che aprirebbe mai un negozio di dischi? Adesso, se volete scusarmi, vado a farmi una compilation. Ognuno ha la sua, magari ce le scambiamo… su Spotify.

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