Abbracciate la statistica, che è diventata la religione di questa epoca

Calcolare le possibilità di un fatto non è solo un’operazione di divinazione razionale. È anche un assunto di natura diversa, quasi superiore. Che richiede, come per ogni chiesa, anche un atto di fede

All’inizio del dramma, i due protagonisti lanciano in aria una monetina per 92 volte. E per 92 volte viene fuori “testa”.

I più appassionati di teatro inglese avrano riconosciuto la scena: è l’incipit di Ronsencrantz e Guildenstern sono morti, opera del 1966 di Tom Stoppard che riprende, rovesciandone il punto di vista, l’Amleto di Shakespeare con la prospettiva dei due personaggi minori.

Come si scrive in questo articolo sapiente e informato, il senso dell’assurdo del dramma si percepisce da subito: una moneta, a meno che non sia fallata, non può cadere per 92 volte di fila nella stessa posizione (e per giunta nel dramma si dice che “è sempre stato così, da anni”). Secondo gli statistici, è una possibilità che si avvererebbe in un caso su 5 ottilioni, in cui l’ottilione è, secondo l’uso americano, questa cifra qui: 1.000.000.000.000.000.000.000.000.000. Basta un colpo d’occhio per capire che la probabilità è molto bassa. Ma non bassissima: è comunque più difficile mescolare un mazzo di carte a caso e farlo uscire, senza volerlo, in ordine perfetto.

Il punto però non è nella probabilità che un evento accada. Ma nell’assurdo che la scena mette in mostra: perché una moneta che cade per 92 volte sulla stessa faccia appare un fatto incredibile? La statistica, oltre a essere una (quasi) scienza delle probabilità, è anche un dato intuitivo presente in ciascuno. Tutti sanno che in una situazione che presenta due risultati possibili (come il lancio della moneta) le probabilità sono più o meno le stesse per ciascuno.

Del resto, ci sono state anche prove empiriche. Nel XIX secolo il matematico George-Louis Leclerc lanciò una monetina in aria per 4.040 volte. E ottenne 2.048 testa. Più o meno la metà. Pochi anni dopo, all’inizio del XX secolo, ci riprovò il matematico britannico Karl Pearson, che la lanciò 24mila volte. E venne testa per 12.012 volte. Una uguaglianza quasi perfetta che origina la cosiddetta legge dei grandi numeri: prima o poi, a furia di provare, l’evento accade. E in una situazione in cui gli eventi sono due e partono da pari condizioni, accadranno più o meno lo stesso numero di volte.

È una regola, ma è anche un atto di fede. È per questo che la scienza della statistica si è, pian piano, trasformata in una sorta di religione. Che una moneta possa cadere per 92 volte di fila sulla stessa faccia, sembra suggerire Stoppard, è possibile. Soltanto, nessuno sceglie di crederci.

Il motivo non è solo scientifico. Come fa dire a Guildenstern, “c’è una legge, o piuttosto una tendenza, o diciamo una probabilità o, in ogni caso, una possibilità calcolabile matematicamente, che assicura che non resterà sconvolto dalle eccessive perdite, e non sconvolgerà il suo avversario facendolo vincere troppo spesso”. È un ordine matematico del mondo ma, a ben guardare, è anche un ordine morale: nessuno deve vincere o perdere troppo. Ne risulta che l’equilibrio che si manifesta nella scienza delle probabilità assume anche connotati morali. E la moneta che gira in aria ne è la sua manifestazione più efficace (e non è solo, come per il folle omicida di Non è un Paese per vecchi, la possibilità di vivere o morire).

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