Da oggi, c’è un manifesto culturale contro gli odiatori di professione che infestano la vita social(e): è il gesto di Mourinho ai tifosi della Juventus. Dopo novanta minuti di insulti, a lui, alla sua famiglia, al suo passato, Mourinho ha risposto portandosi la mano all’orecchio destro per dire: “Perché non vi sento più?”. Il suo Manchester United ha fatto negli ultimi quattro minuti della partita ciò che alla Juve riesce meglio, cioè vincere. E questo è bastato a zittire la curva che l’ha insolentito per l’intera durata della partita senza alcun’altra ragione se non quella che Mourinho è Mourinho, ovvero l’allenatore che ha conquistato campionato, Champions League e coppa Italia con l’Inter, dando, per alcuni anni, alla squadra italiana più nemica della Juve il tratto tipico juventino: l’antipatia, propria di tutti i vincenti.
Fatto da qualsiasi altro allenatore, il gesto sarebbe rimasto dentro il circo calcistico degli sfottò. Fatto da Mourinho, l’allenatore che sfidò l’egemonia culturale del vittimismo italiano e riportò la discussione, dalla subalternità alla moviola, alla realtà effettuale dei tituli conquistati e dei tituli persi, sferzando il gusto del piangersi addosso tipico delle tifoserie e delle bamboccionerie nazionali, è un altro − e un alto! − discorso.
È il discorso dell’uomo in rivolta contro la massa che vorrebbe schiacciarlo con la superiorità numerica dell’offesa urlata in coro, incapace di rispettare il talento che si esprime nell’altro che è avversario e diventa, per il fatto d’essere dall’altra parte del campo, nemico da abbattere. È la stessa dinamica che scatta nei social network, dove le masse, escluse dallo straordinario che c’è in certi esseri umani, sommergono di contumelie chi gli ricorda la loro spaventosa normalità, sperando che gli schizzi di rabbia lo abbassino al loro livello di utenti senza qualità.
Mourinho è sempre andato contro il vento della maggioranza. Persino quella cbahe sta della sua parte. Appena arrivò all’Inter, dopo una sconfitta contro l’Atalanta, entrò negli spogliatoi e disse ai propri calciatori: “Il primo scudetto l’avete vinto in segreteria, il secondo senza avversari, il terzo all’ultimo minuto. Siete proprio una squadra di merda”
Mourinho è sempre andato contro il vento della maggioranza. Persino quella che sta della sua parte. Appena arrivò all’Inter, dopo una sconfitta contro l’Atalanta, entrò negli spogliatoi e disse ai propri calciatori: “Il primo scudetto l’avete vinto in segreteria, il secondo senza avversari, il terzo all’ultimo minuto. Siete proprio una squadra di merda”. Dopo aver trasformato l’Inter e averla portata alla vittoria contro il Barcellona, nella semifinale che gli aprì le porte della vittoria in Champions, corse sul prato verde del Camp Nou sotto i fischi di un intero stadio sconfitto, come un gladiatore entusiasta di aver deluso il pubblico accorso a godersi lo spettacolo della sua morte.
Mourinho ama il talento. Perciò detesta le folle che del talento sono la negazione. Alla fine della partita d’andata contro la Juventus, persa in casa dal suo Manchester United, disse: “Mister Bonucci e Mister Chiellini potrebbero andare ad insegnare all’università di Harvard il ruolo di centrale difensivo”. Peccato sia stato proprio Bonucci, mercoledì sera, a correre incontro a Mister Mou per dirgli che non si fa, che non è elegante − ha titolato il Sun − deridere l’odio dei tifosi avversari improvvisamente ammutoliti dalla disfatta, facendo appello al fair play del tempo che viviamo: mai andare contro la maggioranza che urla, non importa cosa, non importa perché. La pacchia non è finita. Ma gli haters hanno trovato pane per i loro denti.