Vendere case è un lavoro abbastanza normale. Vendere case dove è avvenuto un omicidio un po’ meno. È una materia di cui si occupano pochi specialisti – come ad esempio l’americano Randall Bell, esperto nel piazzare abitazioni contaminate dalla cronaca nera – perché, come si potrà intuire, non è per nulla facile.
Il valore di una casa dovrebbe restare immutato, o almeno dipendere da parametri oggettivi (ampiezza, esposizione, materiali utilizzati, centralità della zona). Invece, di fronte al sangue, tutto cambia: i metri quadrati calpestabili diventano all’improvviso sacri (come lo intendevano gli antichi) e il povero proprietario dell’immobile non trova più nessuno disposto a comprarsi la struttura. Qualcosa, però, può fare.
Prima di tutto, suggerisce Bell, occorre pulire bene tutto. Sembra ovvio, ma a qualcuno sfugge. Una volta – racconta – è capitato che una famiglia, appena entrata in una nuova proprietà, trovasse nell’armadio il buco di un proiettile. Ricostruendo la traiettoria, sono risaliti al punto di origine dello sparo, che era nel garage, dove, con uno sguardo più attento, hanno trovato i resti del cervello del precedente proprietario, che si era suicidato sparandosi. In tempo zero hanno abbandonato la casa e denunciato il venditore.
Questo porta al secondo punto: bisogna sempre dire la verità. È inutile cercare di nascondere i fatti di sangue avvenuti tra le mura che si vogliono vendere. I nuovi residenti lo verranno a sapere di sicuro (i vicini parlano) e scatteranno le querele. L’onestà, insomma, prima di tutto.
Il problema è che nessuno vuole comprare una casa che è stata teatro di omicidio al prezzo di mercato. È una questione culturale, un tabù ancestrale, ma è così. Chi vuole vendere, continua Bell, deve prepararsi in realtà a svendere: una proprietà simile potrebbe addirittura perdere la metà del suo valore. A quel punto, suggerisce, si può pensare di affittarla: almeno si evita l’effetto “casa infestata”.
In ogni caso, meglio tenerla in piedi che buttarla giù. Demolire non è mai la soluzione: sia perché il marchio di infamia si trasmette al terreno, e non all’edificio (e questo vale sempre, anche per i campi di battaglia) diventando insanabile, sia perché si può ovviare al problema in un modo più semplice ed efficace: ad esempio, cambiando la facciata. Succederà allora che, modificando i connotati della casa “maledetta”, se ne modificherà anche la reputazione. Sarà vero? Secondo Bell sì, ma in ogni caso è sempre meglio tentare.