Niente rinnovo, tutti a casa. La colpa? È del decreto dignità. Si susseguono le notizie di lavoratori che non si vedranno rinnovato il contratto di lavoro per via della stretta del governo gialloverde. Dal 1 novembre le nuove regole del decreto Di Maio sono entrate in vigore per tutti (dopo un periodo di transizione) e i primi effetti si fanno già sentire. Nelle intenzioni del governo l’idea è che le nuove regole più rigide sui contratti a termine avrebbero i contratti a tempo indeterminato, ma per il momento si ottiene l’effetto opposto: quello di lasciare i lavoratori a casa.
È quello che è accaduto a Lecce, dove 200 lavoratori in somministrazione del call center Comdata hanno ricevuto comunicazione del mancato rinnovo del contratto in somministrazione scaduto il 31 ottobre. La denuncia è arrivata dal Nidil, la sigla che in Cgil rappresenta i lavoratori atipici. Nell’azienda salentina, accanto a 1.200 impiegati con contratto a tempo indeterminato, sono impiegate altre 800 persone tra somministrazione e collaboratori. I primi mancati rinnovi si sono già registrati nei mesi precedenti, e nei giorni scorsi sono arrivate le comunicazioni per altre duecento persone. Anche perché il decreto dignità impone che i lavoratori somministrati, ex interinali, e quelli a termine non superino la quota del 30% sul totale degli assunti. E molte aziende stanno cominciando a fare “pulizia” per mettersi in regola.
Situazione simile non troppo distante, a Taranto, dove 60 lavoratori in somministrazione del call center Teleperformance resteranno senza lavoro, come denuncia sempre la Cgil su Rassegna.it. E il numero di chi perderà il posto nell’azienda potrebbe salire fino a trecento persone, se si tiene conto di tutti i contratti in scadenza nella società. Tant’è che la commessa dell’Enel che il grande cervellone si è aggiudicato sarebbe addirittura a rischio. Il Nidil, alla vigilia della partenza del decreto dignità, aveva organizzato un presidio davanti alla sede tarantina dell’azienda, invitando anche gli esponenti locali del M5S, già contestatissimi dopo il dietrofront sull’Ilva, a dire la propria. Ma, scrivono dal sindacato, «non hanno trovato il tempo di raggiungere il presidio e spiegare di persona – non via social network – ai lavoratori cosa stesse accadendo».
Il rischio è che i lavoratori a termine, raggiunti i 12 mesi, limite massimo per il rinnovo senza causale, vengano lasciati a casa per essere sostituiti poi da altri precari. Un turnover continuo, in pratica. E con l’avallo del provvedimento di governo
Il rischio, come spiegano dal Nidil, è che i lavoratori a termine, raggiunti i 12 mesi, limite massimo per il rinnovo senza causale, vengano lasciati a casa per essere sostituiti poi da altri precari, evitando così gli aggravi retributivi previsti dal decreto. Un turnover continuo, in pratica. E con «l’avallo del provvedimento di governo». Anche perché, come viene fuori dalla circolare del ministero del Lavoro diffusa il 31 ottobre in extremis, la causale è necessaria anche se il superamento dei 12 mesi avviene in seguito alla proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi. Quanto alla durata massima, valida sia per il tempo determinato che per la somministrazione a termine (da quanto si evince dalla circolare), dopo i 24 mesi è ancora possibile rinnovare il contratto per altri 12 mesi, ma con l’obbligo di causale. Risultato: i lavoratori che erano inseriti in un percorso di rinnovo automatico fino a 36 mesi (senza causale), periodo dopo il quale di solito il determinato si trasformava in indeterminato, dopo un anno rimangono a casa.
Latitudini diverse, ma stesso scenario in Lombardia. Secondo le stime della Città metropolitana di Milano, finora i contratti a termine già tagliati sono stati circa 6mila. Tra di loro ci sono ad esempio gli operatori che si occupano della manutenzione delle auto in sharing di Enjoy: Il Giorno racconta che su 30 contratti atipici, 23 sono stati assunti a tempo indeterminato e sette sono stati sostituiti da nuove leve. Solo tra le partecipate del Comune di Milano, i lavoratori a rischio sarebbero 700. Sono già state lasciate a casa, ad esempio, le “scodellatrici” in somministrazione di Milano Ristorazione, la società che gestisce le mense scolastiche in città: a causa delle nuove norme del decreto dignità – ha spiegato l’azienda – il personale somministrato «dovrà essere diverso da quello già precedentemente impiegato». Per Airport handling, la società di assistenza a terra negli aeroporti milanesi, si rischia il mancato rinnovo di 400 lavorarori a termine assunti tramite le cooperative: chi ha superato i 12 mesi difficilmente sarà rinnovato alla scadenza. E lo stesso vale per Amsa, la società che gestisce la raccolta dei rifiuti.
Il calcolo della Cisl Lombardia è che solo il 10% otterrà il posto fisso per effetto del decreto dignità, mentre il 70% cadrà nelle lame del turnover. E a finire nel riciclo continuo di lavoro, saranno soprattutto gli occupati poco qualificati, facilmente sostituibili. Da qui a fine anno, secondo i calcoli del Sole 24 Ore, i contratti a tempo determinato in scadenza sono 521mila, di cui la metà nel Nord Italia, per il 44% under 35 e nel 57% dei casi donne. Sarà tra di loro che la stretta del decreto dignità mieterà altre vittime. Ad agosto 2018 le assunzioni a termine erano già quasi 24mila in meno.