Vaffanculo addioDissidenti chi? I Cinque Stelle contro il decreto Salvini sembrano pulcini spaventati

Niente “vaffanculo”, niente opposizione. Niente dissenso vero. La letterina dei 19 pentastellati che contestano il decreto sicurezza si preoccupa solo di non dare fastidio al Governo

Vi fidereste di qualcuno che chiede il permesso per fare ciò che è suo diritto? Anzi, che giudizio dareste a chi ritiene un privilegio compiere il proprio dovere liberamente? Giuro che mi ero avvicinato alla notizia con un carico di speranza, oltre che di curiosità. In cuor mio mi dicevo che finalmente i deputati del Movimento 5 Stelle si erano svegliati dal lungo sonno salvinista e magari addirittura si sono ricordati di quando candidarono Gino Strada alla presidenza della repubblica, tutti rumorosamente osannanti come sapevano fare loro quando sentivano il profumo del cambiamento e ce lo offrivano come antipasto di un banchetto che avrebbe reso migliore i nostro Paese.

Così quando ho letto il lancio di agenzia che preannunciava una densa lettera ai “capi area” e ai capigruppo di commissione di ben 19 deputati contro il Decreto Sicurezza e Immigrazione avevo l’acquolina in bocca per un bel vaffanculo, quelli che loro urlano così bene. E invece niente. La lettera dei 19 deputati del Movimento 5 Stelle è la negazione della democrazia interna, della salubrità dell’attività parlamentare e, soprattutto, l’ennesima smentita dell’immancabile slogan uno vale uno. Ma proviamo a osservarla con calma.

In Parlamento non si vota il decreto perché convinti che serva al Paese ma ci si appiattisce sul mero calcolo degli scambi e dei rapporti di forza

Il metodo, innanzitutto. Riuscire a tenere la componente malpancista di un partito (anche quando è etichettato come movimento) è uno degli esercizi più antichi della politica nostrana. All’avvicinarsi di una riforma che non accontenta tutta la propria base non c’è niente di meglio che inventare una fronda interna per tentare di contenere i danni e offrire un barlume di riconoscibilità a chi potrebbe avere il dubbio di sentirsi tradito. Fino ad oggi ci aveva pensato l’onomatopeico Presidente della Camera Fico a incarnare il cavaliere dei delusi ma qualcuno dalle parti del quartier generale del Movimento deve avere pensato che ormai il giochetto sia piuttosto spuntato e così la lettera che avrebbe dovuto rimanere riservata è arrivata direttamente in mano alla stampa. Roba da Democrazia Cristiana dei tempi d’oro ma la consapevolezza politica (e la memoria breve) del Paese concede questo e altro. E infatti ha funzionato.

Scrivono i deputati grillini: «Siamo perfettamente a conoscenza di come questo decreto sia essenziale per la Lega e non è nostra intenzione complicare i già delicati equilibri di governo» e già questa frase fotografa l’abisso. Se è vero che i giornalisti “puttane” da mesi scrivono che sotto l’etichetta del contratto di governo il Movimento stia in realtà cedendo il passo in tutto e per tutto ala Lega di Salvini (con un geniale autodafé che si evince anche dai sondaggi) ecco che ora arriva la certificazione nero su bianco: in Parlamento non si vota il decreto perché convinti che serva al Paese ma ci si appiattisce sul mero calcolo degli scambi e dei rapporti di forza. Anzi, spiegano i deputati del M5S: «riteniamo che il testo che arriverà alla Camera abbia molte criticità che si rifletteranno pesantemente sulla vita dei cittadini. Un testo che non trova, in molte sue parti, presenza nel Contratto di Governo ed è, in parte, in contraddizione col programma elettorale del MoVimento 5 Stelle». L’avesse scritto un giornalista a Di Battista e agli altri sarebbe esploso il cervello. E invece ci hanno pensato loro stessi. Fuoriclasse.

In parole povere si scusano se disturbano il manovratore (ma chi è?) e ci illustrano la differenza tra i vecchi partiti ei nuovi Movimenti: discussione azzerata, iter parlamentare vissuto come inutile burocrazia e il Parlamento come votificio

Poi c’è il capolavoro. Scrivono i dissidenti dell’ultima ora: «Non ci arroghiamo il diritto di essere la voce del MoVimento, sia chiaro. Ci sarebbe però piaciuto confrontarci in tempi e modi adeguati affinché una posizione condivisa emergesse. Purtroppo rileviamo una carenza di discussione interna che in molte sedi, anche ufficiali, tanti di noi hanno espresso». Inneggiano alla Costituzione ma non l’hanno mai letta. Sono parlamentari ma qualcuno li ha convinti di essere passacarte con contratto a progetto al servizio di qualcuno. “Uno vale uno”? Sì, ciao. Qualcuno trovi un secondo di tempo per fare ripassare l’articolo 67 della Costituzione. Per favore.

E poi: «Sappiamo che questo iter di condivisione interna possa non essere canonico e che la firma su un emendamento dovrebbe essere il passo conclusivo di un percorso: tale percorso però non c’è mai stato e la responsabilità non è certo dei singoli deputati e deputate. Quindi non rimane altra strada, al momento, di procedere in questa maniera». Capito? In parole povere si scusano se disturbano il manovratore (ma chi è?) e ci illustrano la differenza tra i vecchi partiti e i nuovi Movimenti: discussione azzerata, iter parlamentare vissuto come inutile burocrazia e il Parlamento come votificio. Vi ricorda qualcosa?

Questa lettera è un abisso. È la giustificazione a scuola del libro mangiato dal cane. È l’inno nazionale del dilettantismo di una compagine di camerieri che vorrebbe superare i partiti tradizionali e invece ha la profondità di una combriccola in gita. È il marchio doc sullo sbaraglio che vorrebbe rivendersi come nuovo. E per di più proviene proprio da quelli che ogni giorno ci pongono lo loro lezioncina sul coraggio di cambiare, il coraggio di fare giornalismo, il coraggio di fare impresa o il coraggio di cantargliele all’Europa.

Del resto il “coraggio uno non se lo può dare”, come scriveva Manzoni, ma può provare a ritenersi assolto additando i giornalisti. Sembra funzionare.