Il terzo incomodo alle primarie Pd: così il mite Martina ha rovinato i piani di Minniti e Zingaretti

Altro che candidatura di servizio. Quella di Maurizio Martina è una proposta che non piace a Minniti, non piace a Zingaretti, e rischia di portare un bel po’ di scompiglio nel mondo martoriato del Partito Democratico

Alberto PIZZOLI / AFP

«Ci candidiamo per evitare un derby tra renziani ed antirenziani, che significherebbe la fine del Partito Democratico». Maurizio Martina, durante il suo intervento al circolo del Pd di San Lorenzo, a Roma, in cui ha presentato la sua candidatura, questa frase non l’ha mai pronunciata. Ma è ciò che dicevano i suoi sostenitori durante l’assemblea nazionale di domenica scorsa, quando ancora non aveva sciolto la riserva.

E infatti, quella del segretario uscente, è una candidatura, per dirla con le parole di Graziano Delrio, suo sponsor principale, intermedia rispetto a quella dei due grandi rivali, Nicola Zingaretti e Marco Minniti, «dove non ci sono abiure rispetto a quanto fatto in tempi recenti da Pd, ma con una grande spinta al rinnovamento». Insomma, il nome di Martina sarebbe quello ideale per salvare il Pd, evitando una conta che avrebbe al centro un solo nome, quello del “senatore semplice di Scandicci”, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire. Una “candidatura di servizio”, che dovrebbe essere ben vista di buon grado da tutti, dunque. Ma ovviamente così non è. E i primi a vederla con sospetto sono proprio i due grandi sfidanti, Nicola Zingaretti e Marco Minniti.

Il presidente della Regione Lazio ha già manifestato tutti i suoi dubbi sull’opportunità della discesa in campo di Martina. Il timore è che un candidato così di peso possa mettere i bastoni tra le ruote ad una corsa che sembrava ormai da alcuni mesi senza ostacoli. L’arcinoto regolamento congressuale del Pd prevede infatti che le primarie proclamino il nuovo segretario solo nel caso in cui questo ottenga più del 50% dei voti nei gazebo. Un obiettivo scontato quando si corre in due (con tutto il rispetto per gli sfidanti considerati minori), molto meno quando a contendersi la vittoria sono in tre.

E i primi a vedere con sospetto la candidatura di Martina sono proprio i due grandi sfidanti, Nicola Zingaretti e Marco Minniti

Zingaretti teme due aspetti in particolare della candidatura di Martina. Il primo è che, dal punto di vista programmatico, l’ex ministro dell’Agricoltura dei governi a guida Pd si sta molto spendendo sui temi che potremmo catalogare come più “di sinistra”, i più cari al governatore. Non è un caso che abbia scelto come rampa di lancio una piccola sezione (come si chiamavano una volta i circoli dem) in un quartiere popolare come San Lorenzo, e che abbia indicato come priorità il superamento delle legge Bossi-Fini sull’immigrazione.

L’altro aspetto che non convince Zingaretti è la lista dei sostenitori di Martina, che pesca quasi esclusivamente nel mondo renziano, anche della prima ora. Di Delrio abbiamo già detto, ma l’elenco è lungo: Debora Serracchiani, Matteo Orfini, Tommaso Nannicini, Francesco Nicodemo, forse addirittura Piero Fassino, dato in rapido spostamento. Non è un caso che lo stesso Martina – convinto da Delrio – abbia rivolto un appello ad un altro candidato, Matteo Richetti, renziano atipico ma legato all’ex premier fin dall’inizio della sua avventura politica, a confluire sul suo nome con una sorta di ticket. Quando parla del rischio del “ritorno dei Gattopardi”, Zingaretti intravvede un disegno di Renzi: spacchettare il suo zoccolo duro per sventare una vittoria al primo turno del candidato più forte, per poi fare un ribaltone in Assemblea con i voti del secondo e del terzo arrivati.

Altro che candidatura di servizio, insomma. Quella di Martina potrebbe essere una candidatura che rompe le uova nel paniere. E, a quanto si dice, non ha alcuna intenzione di limitarsi ad una partita di rappresentanza

Un disegno che rovina i sonni del presidente della Regione Lazio ma che, per ora, non trova conferme tra le fila dei sostenitori di Minniti. I quali, anzi, vedono in Martina un rischio reale, in quanto temono che vada a prendere i voti proprio nel bacino di riferimento del renzismo, soprattutto al Nord. D’altronde, i rapporti tra i renziani che sostengono Martina e quelli che sostengono Minniti non sono per niente buoni, e lo stesso segretario uscente ha pagato sulla propria pelle le conseguenze del fuoco amico tanto stigmatizzato da Renzi e tanto praticato dai suoi pasdaran.

Altro che candidatura di servizio, insomma. Quella di Martina potrebbe essere una candidatura che rompe le uova nel paniere. E, a quanto si dice, non ha alcuna intenzione di limitarsi ad una partita di rappresentanza. D’altronde, l’uomo ha dimostrato, pur con i suoi modi miti e gentili, una grande determinazione e gran senso del momento, prendendo per mano un Pd devastato dalla bruciante sconfitta elettorale del 4 marzo e portandolo, comunque ancora in vita (che non è poco), all’appuntamento congressuale. E il tam tam che gira nelle neonate chat dei supporter di Martina è più o meno questo: “Chi lo dice che siamo noi quelli destinati ad arrivare terzi?”.

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