Gramellino Rosso
Ha ragione chi pensa, chi dice o scrive che ieri il navigato opinionista Massimo Gramellini avrebbe potuto soddisfare le sue smanie di protagonismo in qualche bar nostrano, invece di pubblicare il suo pensierino qualunquista su uno dei quotidiani più importanti della storia del giornalismo italiano. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare all’Italia un corposo monte di ore lavoro che milioni di persone hanno sottratto alla propria giornata per commentare sui social quello che ha scritto.
Ci sono però una cosa che non riesco ad accettare e un’altra che non riesco a comprendere. Non riesco ad accettare che parecchie decine di migliaia di persone di provata intelligenza come la maggior parte di quelli che commentano il suo Caffè su Facebook e Twitter possano perdere tempo dietro a una cosa del genere: se il giornalismo italiano si accontenta, come fa Gramellini e molti dei suoi colleghi opinionisti, di scimmiottare i social e di produrre spazzatura solo per fare click, il primo pensiero è di cercare qualcosa d’altro. Sarà poi il tempo, o il loro capo, a far capire loro che hanno perso per strada la presa sulla realtà, i loro lettori e di conseguenza anche il loro lavoro.
E non riesco a comprendere che tanta gente sia a tal punto infuriata e incontinente da aver dimenticato il perché leggiamo i giornali: il voler comprendere il mondo che ci circonda, l’essere informati e persino lo smettere di farsi dettare la linea ingenuamente dalle polemiche che questi proto blogger preparano ogni giorno con meticolosa cura proprio per generare la nostra reazione di pancia.
Massimo Gramellini non ruba, non picchia e non incita all’odio razziale. Non appartiene alla tribù di neorazzisti e di neofascisti che in queste stesse ore stanno augurando a Silvia Romano le cose più indicibili. La sua unica colpa è l’aver dimenticato cosa significa fare il giornalista, l’essersi ritrovato, forse senza nemmeno accorgersene, a fare sulle odorose pagine di carta della cattedrale del giornalismo italiano quello di cui gli opinionisti come lui accusano i giovani di fare sui social: smettere di pensare e ragionare con la pancia, soltanto per soddisfare una platea di qualunquisti imbruttiti e fare click. Chi in queste ore lo legge e lo condivide chiamandolo «cretino», «qualunquista» e «populista» non sta insultando lui, sta insultando il fantasma della propria intelligenza.