Era morto da tempo. La famiglia lo aveva seppellito, avevano fatto i riti ed era cominciata l’elaborazione del lutto. Poi Aigali Supugaliev, 63 anni di Tomarly, in Kazakistan, è tornato a casa.
Quando lo ha visto sull’uscio, la nipote è svenuta. Agli altri parenti sono strabuzzati gli occhi. Come era possibile? Cosa ci faceva Aigali, ancora vivo, lì davanti a casa sua?
Come ha potuto spiegare non appena lo hanno lasciato parlare, l’uomo non era morto, ma si era solo assentato per quattro mesi (senza dirlo alla famiglia) per lavorare in una fattoria lontana. Il problema è che, al suo posto, era stato seppellito un cadavere in via di decomposizione il cui Dna – e questo è il vero mistero – coincideva con il suo al 99,92%.
“E pensare che l’ho pagato tantissimo”, ha detto il fratello, quasi irritato. Ma, come pochi dicono, anche in queste cose la scienza non dà sicurezze assolute. Akmaral Zhubatyrova, che ha condotto il test, lo ha confermato. “Non si può dire con assoluta certezza se questo è il corpo di una persona o di un’altra basandosi solo sull’esame del Dna”, allarga le spalle. “E poi non dobbiamo dimenticarci del restante 0, 08%”.