Da anni, il motore di ricerca per alloggi e appartamenti Nestpick stila la classifica dei luoghi ideali dove far nascere la propria startup. Un elenco di destinazioni globali che prende in considerazione una serie di parametri come qualità della vita, costo dei servizi, livello salariale, tassazione, ecc. Caratteristiche in cui primeggiano San Francisco, New York, Kuala Lampur, Pechino, Tel Aviv, Amsterdam e via discorrendo. Una sfilza di grandi città e metropoli in cui non compare alcun centro italiano. D’altronde, tolte Roma e Milano, il nostro Paese è pur sempre quello dei campanili, delle piazzette e dei borghi. Lecito chiedersi, dunque, se questo aspetto sia un freno o meno allo sviluppo innovativo. In altre parole, la provincia può essere l’incubatore giusto per recuperare il gap che ci separa dalle Silicon Valley sparse in tutto il mondo?
Per rispondere, cartina alla mano, bisogna considerare i numeri. In Italia, secondo i dati elaborati da Cerved utilizzando gli algoritmi della controllata Spazio Dati, sono circa 14mila le aziende innovative attive.Di queste, 9.328 sono le startup registrate da Infocamere a giugno 2018 a cui si aggiungono le 4.847 imprese che in Italia producono innovazione. Circa un quarto sono distribuite nelle cinque provincie a maggior densità: Milano (2.311 attività), Roma (1.470), Torino (521), Napoli (507) e Bologna (415). Una classifica che cambia se si tiene conto del grado di innovazione di un intero territorio. Qui primeggiano i bacini di Trento, Trieste, Ascoli e Pordenone. Luoghi a misura d’uomo, piuttosto che di macchina. Ideali per chi ha un’idea da sviluppare. Lo sanno bene quelli di H-Farm. L’incubatore, nato nel 2005 da un’idea di Riccardo Donadon e Maurizio Rossi, ha sede a Ca’Tron: una tenuta agricola immersa nel verde della provincia trevigiana. Da Roncade, in dieci anni H-Farm investe quasi 20 milioni di euro in 80 progetti creando oltre 450 posti di lavoro e trasformando la propria tenuta in un vero e proprio campus innovativo esteso su un’area di 15mila metri quadri. Una scalata che arriva prima dall’altra parte dell’Atlantico e poi a Piazza Affari diventando al contempo un modello di sviluppo per altre realtà simili in Italia: su 34 incubatori sul territorio nazionale, ben 6 sono attivi in una città che non sia capoluogo di provincia.
La classifica delle aziende innovative attive cambia se si tiene conto del grado di innovazione di un intero territorio. Qui primeggiano i bacini di Trento, Trieste, Ascoli e Pordenone. Luoghi a misura d’uomo, piuttosto che di macchina
Una decisione che, molto spesso, si basa sulle forti peculiarità del territorio. Quello dei famosi distretti produttivi che all’epoca dell’industria 4.0 trovano nuova linfa. E così, il cluster delle biotecnologie, in cui rientrano anche le startup attive nel campo dell’ingegneria biomedica e molecolare (circa 1.060 imprese) trova un’incidenza particolarmente elevata nelle province di Trento, Ravenna e Trieste. Lo stesso dicasi per il comparto della componentistica (e, per esteso, delle applicazioni) per smartphone e tablet con indici di innovazione particolarmente elevati a Trento, Belluno, Ravenna e Cagliari. Infine, la categoria che abbraccia le realtà che progettano e realizzano software e soluzioni Iot per computer, dispositivi indossabili ed elettrodomestici trovano posto ad Ancona, Aosta e Campobasso. Parallelamente, nascono nuovi poli specialistici. Come nel caso dell’Abruzzo che, con le sue 215 startup innovative nel 2018 (+30% rispetto al 2017) occupa la tredicesima posizione a livello nazionale, ma la prima per quanto riguarda il settore dell’energia e delle materie prime. Il tutto grazie a un ristretto manipoli di attività di alta qualità: 16 dedicate alla fornitura di energia elettrica, 6 alla fabbricazione di prodotti in metallo e 3 nella lavorazione di minerali non metalliferi. Molte delle quali con sede a Teramo: poco più di 54mila abitanti.
Infine, ci sono le singole startup che, nate in un garage della provincia, provano a conquistare le città (e qualche investitore). Come il caso di WiBi che, da Crotone, punta a combattere il digital divide offrendo Internet gratis in cambio di pubblicità. Il pacchetto base propone una connessione a 10 megabit gratis a fronte della visione di 4 minuti di inserzioni pubblicitarie al giorno che partono in maniera automatica non appena il dispositivo si collega al router (che rappresenta anche l’unica vera spesa del servizio: 180 euro una tantum per l’attivazione). Entro il 2019, l’obiettivo è quello di portare il servizio nelle principali città del Paese allargando il team (attualmente composto di sole tre persone) e il pacchetto di offerte.
Sul medio-lungo periodo, invece, la strada per il successo è quella tracciata da un’altra startup calabrese: Macingo. Attiva nel campo dei corrieri espressi e delle spedizioni, in quattro anni è diventata la piattaforma di riferimento del settore e da poco ha chiuso un nuovo round di investimenti. A supportare la startup nata nel 2014, ora ci sono anche due aziende più strutturate: Mecar Corporate Transport Solutions, leader nel trasporto su gomma con oltre 60 anni di attività in gran parte del Sud, e Digital Magics, il più importante incubatore di startup digitali “Made in Italy” attivo su tutto il territorio Italiano. Insomma, un altro piccolo successo. Lo stesso che vorrebbero replicare quelli di Foodracers. Startup nata a Treviso e ispirata agli ormai classici modelli di food delivery che risponde alle esigenze dei paesi di provincia e dei loro utenti. Perché la tecnologia non è solo una prerogativa delle grandi città.