La verità è che Charlie Brooker è un fottutissimo genio e che questo episodio natalizio di Black Mirror ha alzato l’asticella della serialità televisiva e dell’intero mondo dell’intrattenimento a un livello a cui gli altri non potranno mai arrivare. È come se qualcuno fosse arrivato davanti a Bubka e gli avesse cancellato il record di salto con l’asta, ma senz’asta, volando.
Charlie Boroker è un genio perché è riuscito a scrivere la distopia della distopia della distopia. È riuscito a mettere in piedi una serie infinta di ummagumma, un gigantesco effetto Droste o, se preferite il medioevo e gli stemmi, una geniale mise en abyme.
Black Mirror è diventato Black Mirror e mentre ci spiega cosa dobbiamo temere, ce lo dimostra, mettendoci letteralmente in mezzo alla narrazione, facendoci sentire la sensazione di essere noi i padroni del gioco, di essere noi quelli che comandano, portando nel cinema e nel mondo delle serie quello che altri teorizzano per la politica: la rappresentanza totale, uno a uno, la personalizzazione totale dell’esperienza politica o, in questo caso, culturale.
Insomma, se i cinema hanno paura di Netflix quando produce film come Roma o come La ballata di Buster Scruggs, che, terrificanti o capolavori che siano, sono un campo da gioco in cui vince la sala e perde il computer, come diavolo si sentono a sapere che, da oggi, Netflix ha la possibilità di inventarsi prodotti che, nel cinema, semplicemente non hanno senso?