Prima di tutto la cronaca, perché nomi e ruoli in questa vicenda hanno un peso. In seconda battuta l’analisi che lette le carte e provando a pesare pesi e contrappesi, senza sostituirsi a un triubunale, portano comunque a dire che la richiesta dei pm romani ha un peso specifico importante ed è altamente probabile che si arriverà a un processo che creerà più di un grattacapo ai personaggi coinvolti. Presunte tangenti, faide interne all’Arma dei carabinieri e i veleni della politica a fare da sfondo.
La procura di Roma ha chiesto sette rinvii a giudizio nell’ambito della fuga di notizie sulle indagini riguardanti il cosiddetto caso Consip (nato dalla gara da 2,7 miliardi assegnata dalla centrale acquisti della pubblica amministrazione): due saltano subito all’occhio perché coinvolgono due grandi «ex» del potere in Italia, l’ex ministro dello Sport Luca Lotti e l’ex comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette. Il primo accusato di favoreggiamento, il secondo di rivelazione del segreto d’ufficio. Con loro sulla graticola ora ci sono anche il comandante della Legione toscana dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia (favoreggiamento), l’ex carabiniere del Noe e oggi assessore alla sicurezza di Castellammare di Stabia, Gianpaolo Scafarto (accusato di aver manipolato le carte che “incastravano” Tiziano renzi), l’ex colonnello di carabinieri Alessandro Sessa, il presidente di Publiaqua Filippo Vannoni e l’imprenditore Carlo Russo. Per lo stesso Renzi senior invece è stata chiesta l’archiviazione dai pm romani Giuseppe Pignatone, Paolo Ielo e Mario Palazzi perché «non vi sono elementi per sostenere un suo contributo nel reato” di traffico illecito di influenze».
Per comprendere il contesto, e il perché della richiesta del processo, occorre riavvolgere il nastro di circa due anni e tenere a mente il tema principale dell’accusa e cioè aver informato gli indagati del caso Consip che era stata aperta un inchiesta a loro carico. Una richiesta di rinvio a giudizio che suona un campanello di allarme forte per tutti i coinvolti: difficilmente un magistrato come Giuseppe Pignatone mette firma e faccia su richieste di rinvio a giudizio che non arrivino con una certa sicurezza a processo. Inutile sottolineare la delicatezza delle posizioni di un ex ministro e di un ex comandante generale dei carabinieri, soprattutto quando la vicenda si incrocia con le parole di tre testimoni ritenuti attendibili dalla stessa procura di Roma e con il provvedimento del governo Renzi che obbligava gli organi di polizia giudiziaria a riferire alla linea gerarchica l’andamento di indagini coperte dal segreto e inserito in un decreto dell’agosto 2016 dichiarato incostituzionale proprio poche settimane fa dalla Consulta.
Una richiesta di rinvio a giudizio che suona un campanello di allarme forte per tutti i coinvolti: difficilmente un magistrato come Giuseppe Pignatone mette firma e faccia su richieste di rinvio a giudizio che non arrivino con una certa sicurezza a processo
Le testimonianze che nel caso di un processo potrebbero inguaiare su tutti Luca Lotti, Del Sette e Saltalamacchia sono quelle dell’ex dirigente della Consip Marco Gasparri e l’ex amministratore delegato della centrale acquisti per la pubblica amministrazione Luigi Marroni. Gasparri ha confermato di essere stato corrotto dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo e ha patteggiato un anno e otto mesi, mentre Marroni ha rivelato agli inquirenti di essere stato informato delle indagini. «A luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore», ha detto Marroni. È poi lo stesso Marroni a tirare in ballo un altro degli indagati per cui la procura ha chiesto il processo, Filippo Vannoni. L’allora amministratore delegato di Consip racconta ai pm «di aver appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni, dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato». È inoltre lo stesso Ferrara, sentito dai pm, a tirare in ballo il generale Del Sette. Nella versione di Ferrara sarebbe stato Del Sette a rivelare l’esistenza dell’indagine sull’imprenditore Alfredo Romeo riguardo la gara da 2,7 miliardi di Consip.
Ai pm di nuovo Marroni descrive i suoi legami con i Carabinieri. «Con Saltalamacchia», dice, «intercorre un rapporto di amicizia da diversi anni e anche lui mi disse che il mio telefono era sotto controllo, anche in questo caso l’informazione la ricevetti prima dell’estate 2016». Poi specifica: «Se da una parte la bonifica dei locali e degli uffici Consip viene effettuata periodicamente», dall’altra «non posso negare di aver dato espressa disposizione al mio capo del personale di fare tale bonifica anche in considerazione di ciò che mi era stato riferito sulle indagini in corso».
Un rinvio a giudizio che servirà anche per chiarire le posizioni in campo dal momento che uno degli stessi indagati e cioè Filippo Vannoni ha reso dichiarazioni discordanti ai magistrati di Napoli e Roma. Ai magistrati partenopei disse di essere stato informato delle indagini su Consip dallo stesso Lotti mentre a Roma racconta di aver fatto il nome dell’allora ministro «per levarmi dalla situazione». Tanto che per Lotti la procura ha chiesto l’archiviazione per quanto riguarda la rivelazione del segreto d’ufficio. Il processo sarà l’occasione per capire anche questo risvolto e soprattutto chiarire una volta per tutte le intenzioni che hanno animato l’ex carabiniere Gianpaolo Scafarto che risponde di tre episodi di falso, due di rivelazione di segreto d’ufficio e una di depistaggio, in concorso con l’ex colonnello Alessandro Sessa. Il tribunale vaglierà ora la richiesta della procura e deciderà se andare a processo.