Gig EconomyIl decalogo per salvare i rider, ed è ora che il governo si svegli

I ciclofattorini di Deliverance Milano, con l’appoggio delle altre organizzazioni autonome, hanno messo nero su bianco dieci punti da recapitare alle piattaforme e al governo. A pochi giorni dalla morte di un rider a Bari

Tutele, sicurezza, lavoro subordinato, algoritmi, diritto alla disconnessione, rispetto del codice stradale. Dieci punti messi nero su bianco. A pochi giorni dalla morte di Alberto Piscopo Pollini, rider 19enne travolto da un’auto a Bari mentre sul suo scooter stava consegnando una cena a domicilio, i ciclofattorini di Deliverance Milano – con l’appoggio delle altre organizzazioni autonome nate tra Roma, Torino e Bologna – pubblicano “il decalogo dei rider”. Un elenco di dieci pilastri da recapitare ai big del food delivery come Deliveroo, Foodora, Glovo (che ha da poco acquisito Foodora italia) e UberEats, ma anche al governo. Soprattutto ora che il tavolo di contrattazione con aziende e sindacati, voluto da Luigi Di Maio al ministero del Lavoro, è in una fase di stallo. E i rider, che prima sembravano una priorità, sono scomparsi dal decreto dignità e anche dalla stessa agenda di Palazzo Chigi.

Nel documento pubblicato su Facebook, i ciclofattorini si definiscono “braccianti metropolitani”. E nell’“economia dei lavoretti”, come qualcuno ha definito la gig economy, parlano da “lavoratori”. Rivolgendosi alle piattaforme, che spesso hanno negato lo stesso ruolo di datori di lavoro, ponendosi solo come intermediari per ristoranti e fast food e rifiutando anche la parola “licenziamento”, quando qualcuno di loro è stato allontanato. È un documento, dicono, per fare chiarezza «su cosa vogliamo noi come fattorini e cosa deve essere per noi e a noi riconosciuto, al di là delle sentenze dei tribunali e dalle mezze promesse di aziende, governi e amministrazioni comunali o regionali».

Un documento per fare chiarezza su cosa vogliamo noi come fattorini e cosa deve essere per noi e a noi riconosciuto, al di là delle sentenze dei tribunali e dalle mezze promesse di aziende, governi e amministrazioni comunali o regionali

Al “punto uno” i rider chiedono di non essere discriminati, dopo che alcuni di loro sono stati allontanati dalle piattaforme per essersi iscritti al sindacato. Aggiungono poi che «il rischio d’impresa dell’oscillazione della domanda imposta dal mercato non può essere ad appannaggio dei singoli lavoratori». E sostengono – cosa le aziende ad oggi rifiutano, forti anche della sentenza del Tribunale di Torino – che «ogni lavoratore delle piattaforme digitali non è autonomo ma in dipendenza», quindi un «lavoratore subordinato a un sistema digitale».

Nel decalogo si chiedono non solo le tutele e le indennità connesse al contratto collettivo di settore, compreso il diritto di dotarsi di una «rappresentanza sindacale», ma anche il materiale tecnico adeguato e i mezzi di lavoro, ma soprattutto sicurezza, dopo i numerosi incidenti che hanno coinvolto i rider in tutta Italia. E a questo proposito, i fattorini dicono che «ogni corriere deve poter rispettare le norme del codice stradale», senza dover sfrecciare senza sosta per fare quante più consegne e in meno tempo, condizionato da «meccanismi reputazionali (rating), di profilazione e classificazione (ranking) che incentivano l’indice della velocità come elemento di valutazione».

Dopo il tavolo convocato da Di Maio, le aziende non hanno presentato alcuna proposta di regolamentazione. La trattativa, di fatto, non è ancora partita. E la “clausola rider”, scorporata dal decreto dignità, è stata congelata

E se a guidare i rider nei propri turni sono i software delle piattaforme di food delivery, nel decalogo si scrive che tutti i lavoratori «hanno il diritto di richiedere il proprio algoritmo secondo la normativa europea sulla privacy e il datore di lavoro ha il dovere di fornirglielo». Ma anche che «ogni lavoratore ha il diritto alla disconnessione e a non ricevere comunicazioni aziendali passate le 12 ore di lavoro dall’ultima prestazione fornita». Quanto ai tempi di lavoro, scrivono: «Ogni lavoratore non può cumulativamente lavorare per più di 8 ore al giorno e ha diritto ad almeno un giorno di riposo a settimana». Ma anche che «ogni volta che un fattorino è online, sta lavorando e deve essere retribuito per il proprio tempo di vita impegnato, se l’app è attiva e il corriere in attesa». Quindi, pagamenti a ore e niente cottimo, cioè il solo pagamento a consegna.

L’ultimo punto, il decimo, è un messaggio alle istituzioni, e al governo, che inizialmente aveva fatto dei diritti dei rider il proprio cavallo di battaglia. «Il decisore pubblico deve rendersi garante del rispetto delle norme e delle leggi vigenti», scrivono. «Va fatta leva sugli organi ispettivi territoriali e nazionali a disposizione, perché bisogna vigilare sul fenomeno complesso del lavoro digitale e delle piattaforme, in modo da favorire una regolamentazione delle imprese innovative e del settore».

Il documento in dieci punti ora finirà sul tavolo convocato da Di Maio. Ma ad oggi, raccontano i fattorini, «è tutto fermo». Dopo la convocazione del 7 novembre, il governo ha fatto sapere che faranno una «operazione di sintesi tra le parti sociali». Ma le aziende, alle quali era stato chiesto di presentare una proposta di regolamentazione, sono arrivate a mani vuote. La trattativa, di fatto, non è ancora partita. E la famosa “clausola rider”, scorporata dal decreto dignità, è stata congelata e messa in un cassetto.

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