Avete voluto il “cattivismo” contro gli immigrati? E ora beccatevi l’emergenza umanitaria

Finché si è trattato di fare propaganda elettorale (fuori tempo) con la guerra ai migranti a Salvini è andata bene. Ora, l'applicazione del decreto sicurezza mostra le più tristi conseguenze. Il cattivismo realizzato si mostra per quello che è: un’emergenza umanitaria

Tiziana FABI / AFP

Arriva per gli italiani la prova del cattivismo realizzato, una cosa molto diversa dal cattivismo predicato perché un conto è dire «prima gli italiani» e strillare contro i soldi sprecati per assistere stranieri e senzapatria, un’altra è vedere la signora XY, incinta, con una bambina di cinque mesi in collo, cacciata dal Cas di Crotone sotto la pioggia e senza un posto dove andare.

La prova del cattivismo realizzato arriva nel momento più inopportuno per tutti, a pochi giorni dal Natale, quando l’italiano medio aspira a sentirsi buono come insegnano il catechismo e gli spot del Pandoro. In un immaginario presepio vorrebbe impersonare uno dei pastori che portano doni al bambinello, una delle donnine che lavano i panni per Maria. Invece gli tocca essere severo, inflessibile, fare la parte di quelli delle locande di Betlemme che dicono: «Circolare, qui non c’è posto per voi». Fuor di metafora: può un Paese come il nostro reggere l’urto, anche emotivo, dello smantellamento di ogni forma di assistenza legata alla protezione umanitaria – per lo più donne e minori non accompagnati – sradicando dalla sua coscienza i sentimenti di umanità e di pietas che da sempre ci contraddistinguono?

Secondo alcune stime, il numero degli stranieri che potrebbero essere allontanati dai Centri nelle prossime settimane è enorme: quarantamila persone. Fossero anche la metà, si prospetta un’emergenza umanitaria

L’applicazione immediata e senza sconti delle nuove disposizioni del decreto sicurezza in molte località del Sud e del Centro Italia probabilmente ha preso in contropiede lo stesso Viminale. L’eccesso di zelo delle autorità locali rischia di suscitare più problemi che applausi. Capo Rizzuto in Calabria, Mineo nel Catanese, i Cas (Centri Accoglienza Straordinaria) della Sicilia Orientale. Aversa, la provincia di Caserta, Rieti, Latina. «Le città si riempiono di gente che vive per la strada. Sono una marea» dicono gli operatori della Caritas, che insieme a Sant’Egidio e ai parroci si sta dando da fare per trovare un tetto almeno alle donne e ai malati. Sulla stampa locale cominciano a rincorrersi le storie individuali di adulti e ragazzi che raccontano la disperazione di ritrovarsi da un giorno all’altro senza un tetto, senza cibo, senza alcuna possibilità di guadagnarselo perché in attesa dei documenti che li renderebbero in qualche modo “regolari”.

Secondo alcune stime, il numero degli stranieri che potrebbero essere allontanati dai Centri nelle prossime settimane è enorme: quarantamila persone fra chi ha chiesto la protezione umanitaria e chi l’ha ottenuta ma è prossimo alla scadenza biennale del suo permesso. Fossero anche la metà, si prospetta un’emergenza umanitaria consistente e “visibile” soprattutto nei Comuni minori. Questa volta a finire per strada non saranno ladri e spacciatori (che peraltro ci stanno già, spesso comodamente assestati grazie ai loro traffici) ma quelli che hanno cercato una via legale per rifarsi una vita: molte famiglie, molte ragazze sfuggite alla tratta, molti adolescenti, gente determinata a ricominciare senza scorciatoie, conquistandosi “le carte in regola”.

Il pugno di ferro sui migranti finora è stato facile terreno di consenso proprio perché era teorico, immaginario, ideologico. Ora che diventa pratico dovrà fare, oltretutto, i conti con il giudizio della Chiesa e dell’associazionismo cattolico

Chiedersi come li guarderà l’Italia, come giudicheranno questa svolta gli italiani, non è solo questione di sentimentalismo. La generosità verso i deboli è tratto distintivo della nostra identità da moltissimo tempo, più o meno da quando I Promessi Sposi diedero costrutto all’istinto di schierarsi contro i Don Rodrigo d’ogni tempo. Siamo il Paese di Don Matteo, e prima ancora di Don Camillo e Peppone, che gli sfrattati li piazzavano sotto i portici del Comune con galline e mucche al seguito. Nelle missioni internazionali siamo celebrati da un ventennio come peacekeeper d’eccezione perché capiamo, ci immedesimiamo, siamo capaci di mostrare umanità anche al seguito di schieramenti che hanno spianato province intere. Tutto finito, tutto cancellato? Tutto buonismo da archiviare nel nome di un’Italia macha e volitiva, che guarderà questi disgraziati nelle strade dicendo «Ben gli sta»?

Vedremo. Il pugno di ferro sui migranti finora è stato facile terreno di consenso proprio perché era teorico, immaginario, ideologico. Ora che diventa pratico dovrà fare, oltretutto, i conti con il giudizio della Chiesa e dell’associazionismo cattolico, e non basterà esibire il rosario o il Vangelo sui palchi – come Matteo Salvini fa da tempo – per assicurarsi l’assoluzione. Persino l’America di Donald Trump non ha retto il peso del cattivismo realizzato, quando ha dovuto fare i conti con le immagini dei figli dei migranti separati dai genitori e chiusi in gabbia in attesa di sentenza, e non si vede come potremmo farcela noi che cattivi non siamo mai stati, e persino quando si rischiava la vita per proteggere un soldato nemico, un ebreo, ma anche un fascista braccato, insomma un qualsiasi disperato sopraffatto dagli eventi, abbiamo fatto il nostro e ne siamo stati orgogliosi.

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