Combattenti italianiIl nostro eroe si chiama Cesare Battisti

Una vita dedicata alla lotta politica, alle armi e all’editoria. Dietro di lui, un ideale e un sogno che si realizza anche pagando con il sacrificio della propria vita

Su di lui hanno detto di tutto, dai più biechi insulti (“vigliacco”, “disertore”) ad accuse incredibili (“bancarottiere”). Eppure, se non avesse già ricevuto una medaglia da parte dello Stato italiano per il suo “sprezzo del pericolo” in “azioni arrischiate”, Cesare Battisti dovrebbe senza dubbio esserne insignito. Un eroe è un eroe, nel momento della battaglia e, nel suo caso, in quello della cattura.

Come diceva Gabriele D’Annunzio, “vivere est militare” e l’esistenza stessa di Cesare Battisti ne è la una testimonianza: la sua vita mescola impegno politico, editoria e lotta armata. Una battaglia sostenuta con ogni mezzo per portare avanti il suo ideale politico. Capire dove finisce la prima e dove comincia il secondo è quasi impossibile.

Nasce a Trento nel ’57, quando la città era ancora territorio austriaco. Ma lui sceglie subito di schierarsi dalla parte dell’Italia. Si iscrive a giurisprudenza a Graz (ma solo per andare incontro alle richieste della famiglia) per poi vagare tra Firenze e Torino. Alla fine si laurea in geografia, fonda riviste irrendentiste di stampo socialista e, nel 1911, si fa eleggere parlamentare a Vienna. Sceglie di combattere per l’annessione del Trentino all’Italia dall’interno delle istituzioni. Un tentativo che fallì qualche anno dopo.

Nel 1914 fu il momento della scelta: allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Cesare Battisti, abbandona il territorio austriaco e si rifugia, con la famiglia, in Italia. Da qui comincia la sua propaganda contro Vienna, che spingerà l’Italia, un anno dopo, ad entrare in guerra. Lui, per non essere da meno, si arruola volontario nel Battaglione Alpini Edolo.

Il suo valore militare sul campo gli frutterà una medaglia di bronzo, poi d’argento, e una rapida scalata nei gradi dell’esercito. Nel 1916, nel battaglione Vicenza, viene mandato in uno scontro tra le montagne trentine contro le divisioni austriache. Cade prigioniero, insieme ad altri militari, e viene riconosciuto da alcuni soldati delle forze nemiche. A quel punto la sua sorte è segnata: finito nelle mani del nemico, viene umiliato, insultato e dopo qualche settimana di prigionia, sottoposto a un rapido processo. Anche in quell’occasione (gli eroi sono sempre eroi) non indietreggiò e dichiarò:

«Ammetto inoltre di aver svolto, sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l’Italia, in tutti i modi – a voce, in iscritto, con stampati – la più intensa propaganda per la causa d’Italia e per l’annessione a quest’ultima dei territori italiani dell’Austria; ammetto d’essermi arruolato come volontario nell’esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l’Austria e d’essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Rilievo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell’indipendenza delle province italiane dell’Austria e nella loro unione al Regno d’Italia».

Fu condannato a morte per impiccagione. Chiese, per onore della sua divisa, la fucilazione, ma non gli venne concessa. E così, alle 16:30 del 12 luglio 1916 sul retro del Castello del Buonconsiglio di Trento, dove aveva sede il tribunale militare austriaco, venne eseguita la condanna.

Il suo esempio fu di ispirazione per tanti altri combattenti italiani (alcuni, come lui, nemmeno di nazionalità italiana). Tanto che, nel 1919, venne onorato con una medaglia d’oro al valor militare, in cui si ricorda che “tra l’incerto tentativo di salvarsi voltando il tergo al nemico e il sicuro martirio, scelse il martirio”. Con dignità e fierezza.

A differenza di altri Cesari Battisti, che protetti da chissà chi e chissa perché, continuano a fuggire.