Cosa fare quando si è in esilio su un’isoletta sperduta nell’Atlantico, dopo che ogni possibilità di gloria è svanita, il potere è sfuggito dalle mani e i nemici hanno trionfato su tutta la linea? Semplice: si studia l’inglese.
È quello che ha scelto di fare, vinto dalla noia, Napoleone Bonaparte durante il suo secondo (e definitivo) esilio. Sconfitto dagli inglesi, ha scelto di imparare la lingua dei suoi carcerieri. Del resto sull’isola aveva a disposizione cibo e vino a volontà, e anche degli strumenti musicali. Viveva in una casa di campagna ampia e spaziosa (anche se piena di spifferi e topi), in piena quiete e tranquillità. Ma lontano dall’Europa si annoiava a morte. Non poteva ricevere giornali in francese, ma solo quelli in inglese. E per capirci qualcosa, fu costretto a studiare.
A insegnargli un po’ la lingua di Shakespeare fu il suo biografo e sostenitore fedele, il conte Emmanuel de Las Cases, che prese nota anche degli ultimi pensieri dell’ex Imperatore dei francesi. “Un grande intelletto”, disse, “ma una pessima memoria”. Napoleone, per quanto studiasse tutti i giorni, faceva progressi modesti. Aveva buona dimestichezza con le (scarse) regole grammaticali inglesi ma si perdeva di fronte ai vocaboli. Non gli entravano in testa (e del resto non aveva granché occasione per praticare la lingua).
Alla fine, tra le otto pagine manoscritte in inglese, si segnalano passaggi come questo:
When will you be wise
Never as long as j should be in this isle
But j shall become wise after having passed the line
When j shall land in France j shall be very content…
My wife shall come near to me, my son shall be great and strong if he will be able to trink a bottle of wine at dinner j shall [toast] with him… / The women believe they [are] ever prety / The time has not wings / When you shall come, you shall see that j have ever loved you.
Come spiega la Fondation Napoleon, questo è uno “documenti più significativi di quel periodo”. In questo passaggio, poi, si legge tutta la rabbia e la frustrazione di Napoleone, che rifiutando il suo esilio rifiuta anche di assumere la forma “I”, inglese, tenendosi aggrappato alla “j” di “Je”. Il suo “io” non sarà mai dei suoi nemici?
Del resto, come scriverà Las Cases, Napoleone recalcitrava, faceva fatica e si stancava presto. Dopo qualche mese scrisse al suo amico questo messaggio, errori compresi:
Count lascases — Since sixt week j learn the Englich and j do not any progress. Six week do fourty and two day. If might have learn fivity word four day I could know it two thusands and two hundred. It is in the dictionary more of fourty thousand; even he could must twinty bout much of tems for know it our hundred and twenty week, which do more two yars. After this you shall agrée that to study one tongue is a great labour who it must do into the young aged.
Il computo delle parole imparate, paragonate a quelle che avrebbe dovuto conoscere, lo affliggeva. Confessò di sentirsi “imprigionato nel mezzo di questa lingua”. Ma si sbagliava: era solo imprigionato nel mezzo dell’Oceano: la sua gloria era finita e, nel giro di poco tempo, lo sarebbe stata anche la sua esistenza. Era la fine. Anzi, the end.