Altro che gilet gialliI “muscoli” dei gialloverdi: i frati alzano la voce, Salvini e Di Maio fanno marcia indietro

La Perestrojka dei gialloverdi non regge, e loro lo sanno. Tanto che è bastata la protesta dei no profit cattolici contro la cancellazione degli sconti Ires per renderli improvvisamente cauti. A pochi mesi dalle elezioni, ogni voto è prezioso e non si può scontentare nessuno

Filippo MONTEFORTE / AFP

Per la Perestrojka italiana arriva il momento della verità e sbucano impreviste resistenze da parte di settori della società civile che si ritenevano marginali e invece si rivelano assai potenti e persuasivi. Non sono le vecchie categorie del lavoro, gli operai sindacalizzati, i pensionati iscritti alla Cgil – che pure ci rimetteranno molto – e neppure il cosiddetto partito del Pil, che attende di capire con gli gli conviene stare. Non sono le opposizioni parlamentari, l’impresa, il Nord. I nostri Gilet Jaune sono i frati francescani, Sant’Egidio, insomma il mondo del No Profit cattolico che si mette in prima fila contro la cancellazione degli sconti Ires alle società senza fini di lucro: una misura collaterale, del valore di poco più di cento milioni, di cui il governo aveva sottovalutato il peso politico tanto che ieri si è assistito a una rocambolesca marcia indietro del premier Giuseppe Conte e dei suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Il regime fiscale agevolato avrebbe dovuto comunque essere abolito nei prossimi anni, con l’entrata in vigore della riforma del Terzo Settore approvata dal Parlamento nella precedente legislatura. Le nuove norme tendevano a mettere ordine in una galassia ipertrofica, con 343mila istituzioni censite nel 2016 e 800mila dipendenti. Ci sono i frati, certo, e le benemerite associazioni che suppliscono ai buchi sempre più larghi del nostro welfare. Ma dentro quel calderone i controlli della Gdf trovano, anno dopo anno, anche circoli del golf, ristoranti e bar travestiti da enti senza fini di lucro, rimessaggi di barche, circoli sportivi esclusivi e alberghi a cinque stelle. Insomma, la cancellazione delle agevolazioni Ires era una misura che avrebbe potuto essere difesa. Tra l’altro, visto il suo valore complessivo piuttosto modesto rispetto alla platea dei soggetti interessati, non dovrebbe incidere più di tanto sulle attività davvero volontaristiche.

Perché leader tanto assertivi, tanto perentori in altri casi nel sostenere le ragioni del cambiamento anche brutale, ammainano le bandiere così in fretta, su un terreno di scontro che avevano peraltro cercato loro, visto che la norma non è certo piovuta dal cielo?

Così, la rapida marcia indietro dell’esecutivo, con la promessa di riaggiustare le norme con un provvedimento specifico in gennaio, rivela un’insicurezza che davvero era difficile immaginare. Perché leader tanto assertivi, tanto perentori in altri casi nel sostenere le ragioni del cambiamento anche brutale – dall’immigrazione alle misure-bandiera su pensioni e reddito di cittadinanza – ammainano le bandiere così in fretta, su un terreno di scontro che avevano peraltro cercato loro, visto che la norma non è certo piovuta dal cielo?

La manovra economica ha cambiato lo stato d’animo del governo e dei suoi principali attori, che forse solo adesso si rendono pienamente conto della difficoltà di operare la gigantesca redistribuzione di risorse che hanno promesso al Paese. Trasferire oltre 13 miliardi ai disoccupati e ai quasi-pensionati, allargare i limiti della forfettaria per le partite Iva, persino ricalibrare questioni marginali come le agevolazioni ai birrifici o alle Spa dei grandi alberghi, significa tagliare altrove, danneggiare qualcun altro, e pagarne le conseguenze in termini di consenso. Si veda lo spettacolo di ieri a Roma, dove gli Ncc furibondi per le limitazioni poste alle auto a noleggio (a vantaggio dei tassisti) hanno bruciato il fantoccio di Di Maio davanti al Parlamento e minacciato sfracelli per le prossime giornate. La potenziale estensione della protesta ad altre categorie “punite” spaventa, induce alla retromarcia e alla ricerca di un compromesso.

Su questa nuova cautela pesa senza dubbio il fantasma del governo Renzi, l’artefice del precedente tentativo di Perestrojka, finito malissimo dopo aver molto osato e dopo aver maltrattato ogni tipo di opposizione sociale alle sue riforme. L’altro Matteo ebbe la fortuna di insediarsi in febbraio, dopo aver lasciato a Enrico Letta l’onere della manovra 2014, e poi il vantaggio di affrontare il suo primo test elettorale (le famose Europee del 40%) appena tre mesi dopo, quando era ancora in piena luna di miele con gli italiani, i media, l’Europa. Il calendario del nuovo esecutivo non è così favorevole. Si tornerà alle urne in primavera, più o meno a un anno dalla vittoria elettorale di Cinque Stelle e Lega: troppo presto per adornarsi dei risultati delle riforme, troppo tardi per beneficiare dell’incantamento dei nuovi amori. Forse anche per questo la Perestrojka di Conte, Di Maio e Salvini si è fatta improvvisamente cauta, attenta ai segnali di protesta, cedevole ovunque vede un voto perso, un voto potenzialmente revocato.

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