Se un alieno o anche solo uno svizzero fosse arrivato in Italia sei mesi fa e avesse continuato a osservare la faccenda si sarebbe trovato di fronte a un fenomeno razionalmente poco spiegabile. Un noto giornalista -noto e sufficientemente accreditato: ha fondato un paio di telegiornali con i quali ha innovato il linguaggio dell’informazione in Italia, è un volto popolare della tv- decide di varare un quotidiano. Online. “Fatto dai giovani per i giovani”.
Da un punto di vista alieno, o svizzero, insomma esterno, sembrerebbe un fatto interessante, anche senza evocare la tiritera del più testate giornalistiche ci sono meglio è, e la mistica dell’informazione che eccita gli addetti ai lavori (ha ragione Casalino, spesso i giornalisti sono puttane: che “pompino” e “marchetta” siano lessico comune del gergo giornalistico è una traccia sufficiente o vi devo fare un disegnino?). Ad occhi alieni, esterni, insomma, un nuovo giornale per giovani sembrerebbe di per sé un fatto interessante. Agli occhi del mondo giornalistico/culturale italiano a quanto pare no. Anzi.
Il primo post di Enrico Mentana a proposito di quello che sarebbe diventato Open è del 7 luglio. La prima critica di qualche istante dopo: l’esperto web e blogger Massimo Mantellini twittava scrutatorio/inquisitorio: “non ho capito chi paga”. All’annuncio dell’apertura di un indirizzo mail a cui inviare i curriculum il sociologo Raffaele Alberto Ventura, studioso del precariato intellettuale, ha commentato: “Il più grande programma di schedatura della classe disagiata mai concepito” (notare il vibe biopolitico). A seguire, a ruota, a cascata, a esondazione, i commenti sui social. Tanti commenti sui social, soprattutto da parte degli addetti ai lavori. Una volta si chiamavano “addetti ai livori”
Mentana, pare di aver capito, non è stato abbastanza trasparente. Ha invitato i precari a inviare il curriculum e poi non ha preso in considerazione il suo. Il tuo. Il mio
Non c’è giornalista, vero, presunto, attivo, oppositivo che non abbia voluto dire la sua sulle modalità di reclutamento usate da Mentana. Ed è anche comprensibile, visto che, a quanto pare tutti i giornalisti, gli aspiranti giornalisti, i precari d’Italia si sono rivolti a Mentana in cerca di lavoro (situazione scolpita dal titolo di Lercio: “il Papa incontra gli esclusi dal giornale di Mentana”) e insomma Mentana, pare di aver capito, non è stato abbastanza trasparente. Ha invitato i precari a inviare il curriculum e poi non ha preso in considerazione il suo. Il tuo. Il mio.
E non li avrà mai letti davvero. E avrebbe dovuto organizzare i colloqui, probabilmente, nella sala dell’Hotel Ergife -Roma- dove si svolgono i concorsi per gli impiegati pubblici e invece no. E la foto della redazione diffusa qualche giorno fa è stata abbondantemente scrutata, controllata, vivisezionata, nomi, visi, nasi, barbe, gambe. Se fossi un componente di quella redazione mi farei “sciumicare” dalla prima maga lucana o calabrese che conosco.
C’è stato anche il capitolo “consigli non richiesti a Enrico Mentana”. Ovvero la vasta casistica di esperti della comunicazione a qualsiasi titolo (giornalisti, ex giornalisti, esperti di digitale, esperti di brand managing, litigation manger e chissacristo, comunque Esperti) che hanno pubblicato e postato suggerimenti a Mentana e al suo staff su come si fa un giornale. Magari trentamila battute tra analisi di mercato, filosofia digitale, etica giornalistica, organizzazione dei turni. Con scolii sull’uso sostenibile dello sciacquone all’indomani dell’Earth Overshoot Day.
All’alba della prima uscita di Open, martedì scorso, era tutto un coro di sdegno tra gli addetti ai livori sul fatto che Open (ah già, c’erano state anche le polemiche sul nome, pare, di derivazione renziana, Chicco avrebbe fatto meglio a chiamarlo l’Avanti!, L’Ora di Milano o direttamente Sgunz) non fosse indicizzato correttamente da Google, e giù lezioni dagli Esperti di Seo, e il nero fa anni ‘90, e la grafica fa povero, e i titoli sono troppo piccoli o troppo grandi. E gli articoli non articolano.
Conosciamo benissimo la tendenza italiana ai sessanta milioni di commissari tecnici. E le sue pericolose mutazioni postmoderne. La tendenza al meta-commissario tecnico. La tendenza all’osservatore di tutto che insegna sul metodo di tutto. In breve, la tendenza all’umarell
A farla breve, fossimo svizzeri ci limiteremmo a constatare che qualcuno (accreditato) ha fondato un giornale (bello, brutto, chissà) ed è stato accolto nel caso migliore come uno sprovveduto del digitale, in quello peggiore come una specie di gambler.
Il fatto è che non siamo svizzeri, siamo italiani. Conosciamo benissimo la tendenza italiana ai sessanta milioni di commissari tecnici. E le sue pericolose mutazioni postmoderne. La tendenza al meta-commissario tecnico. La tendenza all’osservatore di tutto che insegna sul metodo di tutto. In breve, la tendenza all’umarell.
Avete presente l’umarell? Il pensionato che sta a guardare i cantieri e spesso suggerisce agli operai il modo di lavorare? [leggete qui la confessione inconfessabile di un umarell, a proposito] Spostalo un po’ più in là, così non lo solleverai mai. Ecco.
Sarà colpa di una destinale (e un po’ grillina) enfasi sul metodo più che sui risultati, sarà colpa di certe scuole di giornalismo frequentate le quali si sentono tutti un po’ Woodward senza Watergate (e allora se la pigliano con Chicco), sarà colpa dell’ossessione/frustrazione collettiva secondo cui il giornalismo non racconta le cose, è innanzitutto etica (chi fa fa, chi non sa fare insegna, e chi non sa né fare né insegnare insegna etica di qualcosa), fatto sta che si sono trasformati tutti in umarell di Mentana.
Ultimo e più eclatante caso di umarellismo sbrigliato, Christian Rocca, brillante direttore di mensili, eccellente corrispondente dagli Usa per anni, e ora editorialista della Stampa che ha scritto un articolo su Rolling Stone apposta per umarellare Chicco. Open ha pubblicato un articolo contro George Soros dopo che il finanziere (e gran speculatore, confesso e orgoglioso, perfino simpatico nel suo ammettere di aver mezzo affossato l’economia italiana negli anni ‘90) era stato eletto uomo dell’anno dal Financial Times.
Rocca, dopo aver definito Mentana, più o meno la causa di tutti i mali populisti d’Italia ha attaccato Open. Si potrebbe obiettare che la scelta del FT è quantomeno discutibile senza timore di incorrere né in populismo, né in umarellismo, ma facendo una piana analisi di opportunità e di situazione politica internazionale.
Fatto sta che Rocca ha messo il fiocco sul pacco delle critiche a Open. Puro umarellismo ideologico.
Qui con tutta la laicità svizzera o aliena di cui siamo capaci ci pare che i ragazzi di Mentana non siano il male del giornalismo. il male del giornalismo, allo stato attuale, sembra più un’ossessione per i metadiscorsi. Anche se giornalisti restiamo umani. Non umarell.