Follia democraticaRenzi se ne andrà (anche se dice di no): ecco il suo piano per eliminare il Pd

Prima candida Minniti, poi lo fa ritirare. Prima dice a tutti di volersene andare, poi ritratta. Nessuno capisce cosa vuol fare Renzi, i suoi per primi, ma tutti hanno capito che rivuole il centro della scena. E che per prenderselo è disposto a tutto

«Di scissioni ne abbiamo già viste già abbastanza. Non è all’ordine del giorno, e io non ci sto lavorando. Non sto lavorando a qualcosa di diverso». È l’ora dell’aperitivo quando Matteo Renzi, dai microfoni di Zapping, su Radio1, decide che è il momento di rompere il silenzio e di spegnere le voci che si erano rincorse sin dal primo mattino, da quando Marco Minniti ha annunciato in un’intervista su Repubblica che avrebbe rinunciato a correre come candidato “renziano” alla segreteria del Pd. Vero? Falso? Le voci si susseguono per tutto il giorno, di ora e ignora, e la parola fine è ancora tutta da scrivere: «È un anno che Matteo parla di voler uscire – afferma un parlamentare Pd – io a queste retromarce non credo per nulla». E alcune questioni sembrano dargli ragione. Una su tutte: perché non dirlo prima, che non c’era alcuna ipotesi di scissione, evitando che Minniti si ritirasse?

Non è l’unica retromarcia della giornata: “Ciò che scrive oggi il sito Dagospia in riferimento all’iniziativa del 16 dicembre non riguarda in alcun modo Matteo Renzi”. Arriva nel primo pomeriggio, di una giornata a dire poco convulsa per il Pd, la prima smentita da parte dell’ufficio stampa dell’ex premier (ma spedita dalla mail dell’ufficio stampa nazionale) riguardo la paternità dell’ex segretario sulla misteriosa iniziativa che si svolgerà la prossima settimana a Roma. Si tratta dell’assemblea costitutiva di “Cittadini!”, una sorta di movimento civico che nasce, come si legge sulla convocazione, “per costruire un luogo di elaborazione e proposta, ma anche per la costruzione di soggettività e protagonismo civile, con tratti modernamente liberali e riformatori”.

Nonostante la smentita, gli indizi che conducono a Renzi sono molti. Il primo è grafico: quel punto esclamativo alla fine della parola “Cittadini” , recentissimo orpello visivo della comunicazione renziana. Il secondo è la scelta del nome, che richiama in maniera diretta l’esperienza di Ciudadanos, il movimento civico nato in Spagna nel 2006 con un’impostazione apolitica, più volte citato dallo stesso Renzi come esperienza di riferimento, nonostante negli ultimi anni il leader Albert Rivera l’abbia spostato sempre più a destra. Una passione, quella per gli spagnolismi, che pervade da anni la sinistra italiana: se Renzi punta su Ciudadanos, fu Pippo Civati che andandosene dal Pd diede vita a “Possibile”, nome coniato dal più fortunato precedente iberico di Podemos.

E poi ci sono gli organizzatori dell’evento. Il portavoce del comitato promotore di “Cittadini!” è Gianfranco Passalacqua, avvocato romano già consigliere giuridico dell’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi. Non un nome qualunque nella galassia renziana, ma il principale consigliere dell’ex premier, suo sherpa negli incontri europei ed ora assunto come consulente dal gruppo dem al Senato. E, soprattutto, teorizzatore della necessità di “andare oltre il Pd”.

«Il fatto che Renzi si sia affrettato a smentire il suo legame con questa iniziativa, mentre in tanti mesi non ha mai smentito gli innumerevoli retroscena sulla sua uscita dal Pd, dimostra che quest’ultima è ormai molto più che un’ipotesi», è lo sfogo di un renziano di rango, disorientato dai comportamenti del leader. Uno stato d’animo che si è diffuso in tutta l’area politica di riferimento dell’ex segretario, ormai in balia delle decisioni imprevedibili del loro (ex?) capo indiscusso. In Parlamento, ma anche nei territori, dopo il ritiro di Marco Minniti dalla corsa alla segreteria, è il caos. Non solo le europee, ma anche le elezioni amministrative, sono a rischio. A febbraio si vota in Abruzzo, in primavera, tra i tanti appuntamenti elettorali, c’è quello, particolarmente caro a Renzi, di Firenze, che rischia di rappresentare la sua ultima roccaforte a cadere miseramente. E non dimentichiamo che, sempre in Toscana, è stata da poco eletta segretario, con una prova di forza non indifferente, una delle fedelissime storiche, fin dai tempi della furia rottamatrice, Simona Bonafè.

Di certo le parole che Renzi ha affidato ai social network non hanno aiutato a rasserenare gli animi. In un lungo post su Facebook, è tornato ad attaccare quella che chiama, con evidente tono dispregiativo, “la Ditta”, specificando che non ha intenzione di “fare il piccolo burattinaio al congresso del Pd” e, ancora una volta, evitando ogni smentita su una sua fuoriuscita dal partito. «Uscire oggi è un drammatico errore di calcolo: lui rischia di fare la fine di Rutelli e di tutti gli altri ex leader che hanno lasciato il partito diventando irrilevanti. E le sue ambiguità fanno male al Pd», racconta un parlamentare molto vicino all’ex segretario. Il quale,a sua volta, garantisce che «rispetterà qualunque sia il vincitore del congresso», ma si guarda bene dal dire che lo sosterrà.

Sono ore di tumulto. C’è chi fa i conti su quale sia l’orizzonte elettorale e quanti possano essere i parlamentari che seguiranno Renzi nella sua nuova avventura. A giudicare dai primi rumors, prevalgono i dubbiosi. Vista da un’altra angolazione, sembra che sia proprio lui a non volere che la nuova creatura assomigli troppo al Pd, puntando su volti nuovi e provenienti dalla “mitica” società civile. Alla Leopolda, d’altronde, in piena estasi leaderistica, dopo aver presentato insieme a Padoan la manovra alternativa – sia a quella del governo che a quella dell’allora segretario Martina e del responsabile economico Nannicini -, lanciò la candidatura di Rula Jebreal per le europee.

Ma c’è un’altra idea, ulteriormente destabilizzante per il quartier generale dem, che si è fatta strada in queste ore, suggerita da una frase attribuita allo stesso Renzi: «Al momento opportuno vi dirò cosa farò, presto ci rincontreremo». Parole che, se associate alle voci che parlano di una Maria Elena Boschi e di un Luca Lotti intenzionati a non sposare, almeno per il momento, il nuovo progetto, prefigurano uno scenario inedito: Renzi a fare da apripista e poi, piano piano, tutti gli altri a seguirlo. Con un obiettivo chiaro. Uccidere il Pd, svuotandolo poco a poco.

Ma ora c’è da affrontare la questione congressuale. I renziani stanno studiando le prossime mosse. Ed anche in questo caso, la sensazione è di una compagnia allo sbando. C’è chi, come Stefano Ceccanti, spinge affinché venga individuato in tempi brevi (il 12 dicembre scadono i termini per la presentazione) un nome di bandiera che corra alle primarie. Si dice che proprio Lotti stia facendo pressioni enormi su Lorenzo Guerini, con l’obiettivo conclamato di “non far vincere Zingaretti”. Ma sono in molti a credere che, alla fine, questo nome non uscirà e che, presumibilmente, i voti della maggior parte della componente finiscano per convergere sul ticket Martina-Richetti.

La linea dei principali sfidanti rimasti in campo è attendista. Martina è tornato a chiedere unità, Nicola Zingaretti, che è ben conscio del rischio che sta correndo la sua operazione e nei giorni scorso non ha parlato a caso di “gioco macabro”, si limita ora a sottolineare l’importanza e la dignità della decisione di Marco Minniti di farsi da parte. È evidente il tentativo (difficile, in verità) di stigmatizzare la vicenda Renzi e spingere i suoi a non seguirlo. «Ma se uscirà – dicono fonti vicine ad entrambi i candidati – non risparmieremo certo le critiche. Siamo stati durissimi con Bersani, lo saremo anche con lui». È un Pd che rischia di affondare, ma che prova disperatamente a stare a galla, nonostante il rischiatutto di chi l’ha guidato fino a poche settimane fa ne stia mettendo a rischio la stessa sopravvivenza.

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