Roma caput mundiSpelacchio si ribella a Netflix (e Roma, ancora una volta, batte Milano)

Nella classifica della qualità della vita Roma perde (di gran lunga) contro Milano. Ma Roma è la città in cui la creatività “dal basso” vince. E si cerca di farla diventare brand. A Milano tutto è deciso dall’alto, compresi gli addobbi ipertecnologici (e stupidi) degli alberi di Natale

Troppe palle. Netflix ne ha messe talmente tante sul povero Spelacchio che l’ha fatto ingobbire. È tenuto su da quattro tiranti in acciaio inossidabile che lo liftano verso l’alto ma comunque, da lontano, si vede che è storto. E per fortuna che le palle pesano: la stortaggine è l’unica cosa che lo lega al buon vecchio Spelacchio, l’originale, quello dell’anno scorso: storto, spoglio, umile, che incarnava davvero lo spirito del Natale.
Questa versione d’albero cannibale piace soprattutto ai genitori e ai cinesi, meno ai piccoli. Nessuno vuole sedersi sulla slitta (che sembra una gondola) messa lì vicino per far fare le foto alla gente. I bambini lo guardano intimoriti – saranno i tiranti o i bodyguard (sei) che lo sorvegliano con aria da 007 h24. Sì, perché sotto l’albero dalle infinite palle ci sono sia i bodyguard che una rete per impedire la caduta ma pure il furto delle palle stile discount 0.99 x 4 con la N attaccata sopra. I bambini sentono il pericolo. Sentono i lamenti di Spelacchio che si ribella a questo maquillage.

Non c’è bodyguard che tenga: gli cadono le palle, si storce, si dimena. Spelacchio resiste ad ogni tentativo di razionalizzazione del brand, di inserimento nel ciclo del capitalismo. Perché a Roma non c’è niente di lineare e la catastrofe è sempre dietro l’angolo. Catastrofi, cataclismi, cose al contrario. Qui funziona così. Le cose più belle nascono e prendono piede dal basso, poi qualcuno arriva e se ne appropria. Roma è il paradigma di tutto quello che non risponde al fine, ma crea. Crea fenomeni, detta legge pure a Netflix che si è innamorato di Spelacchio e l’ha adottato – male – presentandolo con la frase stonatissima “Sono tornato e sono uno spettacolo”.

Ma il vero Spelacchio urla che questo spettacolo non s’ha da fare. Roma crea. Qualcuno se ne appropria. Poi le cose si ribellano. E se ne riappropriano. Poi si ribellano. In loop. A Roma non puoi riciclare le cose belle, quelle alle quali i romani si sono affezionati. Come se a un cavallo bianco (Spelacchio nuovo) non bastasse essere un cavallo bianco. Si deve prendere pure gli applausi del mulo (Spelacchio vecchio). Ma i romani non ci stanno, infatti, al nuovo Spelacchio, gli hanno storpiato il nome fin dall’inizio. Spelacchio è diventato Spezzacchio perché lo hanno montato come un Lego ed è rimasto per qualche giorno senza rami, poi alcuni messi altri no. E giù di meme con Edward mani di forbice vicino. Poi Speraggio. Retacchio. A Roma va così, le cose che vengono dal basso sono dei tesori intoccabili.

A Milano c’è un albero che ogni 15 minuti analizza il sentiment (!) predominante delle foto scattate lì intorno. Sentiment più rilevato? Ansia

A Milano, invece, le subiscono tutte dall’alto. Facciamo un albero bello. Ricco. Pomposo. Perché? Perché sì, perché è così che si deve fare. Vogliamo mica far vedere che siamo poveri? Vogliamo mica fare la figura di quei pezzenti dei romani? Milano è provinciale, ha le ali tarpate, la creatività scappa o se ci arriva deve prendere aria tutti i weekend. Ed è prima nella classifica sulla qualità della vita proprio per questo: un posto dove vivere, dove portare il cane a fare la pipì (ci sono persone che portano a spasso i cani ad ogni angolo), dove spingere i passeggini. Guarda cara, che bell’albero. Quello in Piazza Duomo, 25 metri, 40mila luci a led, è anche accettabile.

Ma quello a CityLife Shopping District proprio no. Il primo albero di Natale dotato di intelligenza artificiale. Ma scherziamo? Cosa possiamo inventarci quest’anno per sembrare cool, sul pezzo, innovativi? Loro pensano di aver fatto chissà cosa ma nessuno ne parla. Si vergognano. Di un albero che ogni 15 minuti analizza il sentiment (!) predominante delle foto scattate lì intorno. Sentiment più rilevato? Ansia. Come quello in Piazza XXIV Maggio “il primo albero di Natale smart, tecnologico e interattivo, caratterizzato da un inedito rivestimento di led a basso impatto energetico, capace di assumere colori e dettagli diversi a seconda dei momenti della giornata”.

Spelacchio resiste ad ogni tentativo di razionalizzazione del brand, di inserimento nel ciclo del capitalismo

Unica domanda: perché? La sontuosità è un’attitudine lenta, menefreghista, pure un po’ sporca. Spelacchio era sontuoso anche senza palle e nastrini. Senza rami. Senza niente. Solo per attitudine. Stessa sorte di Spelacchio Suburra, anche lei quando è diventata serie Netflix si è smontata. Che nome, che storia. A Milano c’è il boschetto dello spaccio di Rogoredo dove Corona va a a prendere due schiaffetti nelle frasche. Ro-go-re-do. Poco pronunciabile. Irricordabile.

Milano non è nemmeno elitaria come Parigi. È a modo. Roma è scostumata. Si vive meglio a Milano? Potrebbe essere. Se hai un cane. E un figlio. Per gli altri c’è Roma. Qui non siamo nei giardini con il prato all’inglese della provincia padana, siamo fra le liane della foresta amazzonica. Roma se la magna a colazione Milano, la ingloba. Ci sono quartieri romani che sono delle piccole (nemmeno tanto piccole) Milano.

A Roma i posti fichetti avocado e succo di zenzero spremuto a freddo che vanno tanto a Milano durano un mese se va bene, perché a volte i romani hanno pure voglia di qualcosa di esotico. Ma quelli che restano sono i posti zozzi. Quelli dove ti danno la pajata o una tazza macchiata di rossetto piena d’acqua sporca – contaminata da gocce che cadono dal condizionatore infette da legionella o dallo sputo del cliente precedente. Bevi questa pozione e ti si potenzia il sistema immunitario. A Roma è normale sgomitare in file disordinate – devi lottare per un posto, o prendersi a parolacce in continuazione – sul bus, per strada, nei negozi. È un intercalare, niente di personale. A stronza. E ridi. A Roma ci sono quintalate d’immondizia per strada ma c’è pure una narrazione interna, solo romana, solo per iniziati, dell’immondizia a Roma che non è fatta solo di che indecenza ma che schifo. È fatta di foto con sacchi dell’immondizia impilati ordinati davanti ad una siepe (arriva quasi a coprire la siepe) con scritto a Roma Nord la sistemiamo bene. I video dei ragazzi che si buttano nella monnezza a Trastevere ma ormai un po’ ovunque. È partito il contest quest’estate. Se sei davvero coraggioso e non hai paura di prenderti – anche qui – qualche malattia strana fallo. In tanti si sono buttati, urlando, ridendo, ubriachi, non ubriachi, vestiti, in mutande. Un’altra prova, l’ennesima. Un’iniziazione. Altro che Bullingdon Club.

Mentre Milano è pasciuta e contenta Roma sbuffa. Tutti scendono in piazza per qualsiasi cosa anche se il giorno dopo si scordano il motivo. Giusto per fare movimento, per fare un po’ la guerra, per mangiarsi un panino con la mortazza insieme a Piazza Venezia e dire ridendo – Mortacci de sta’ città. Che fa un po’ (tanto) di testa sua. Che ti fa cambiare le abitudini, a volte pure il pensiero, ma alla fine chiede solo di essere vissuta. Questa pazza, difficile, rumorosa, sudata, puzzolente, marcia, morta, decrepita, stanca, immensa Roma.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter