La vista non è male. L’unico problema per gli abitanti di Aogashima, una isoletta giapponese a poco più 300 chilometri a sud di Tokyo, è che abitano proprio in cima a un vulcano attivo. Non è un caso che, nella loro memoria nazionale, il 1785 è un anno importantissimo. È quello dell’ultima eruzione, in cui morirono circa 300 persone – e altre 327 furono costrette a fuggire.
Ma, nonostante il rischio sempre vivo che la storia decida, prima o poi, di ripetersi, i residenti continuano a risiedere. Non si preoccupano più di tanto, scelgono di non pensarci e, come spiega Masanubu Yoshida, uno degli abitanti, l’ultima eruzione è avvenuta 230 anni fa. Per cui le probabilità sono ancora favorevoli. Così pensano.
Anche se, è ovvio, “nessuno può battere la natura”, spiegano. Solo, scelgono di correre il rischio. I benefici del paradiso tropicale – la vista, il mare, la natura verdeggiante, la vita quieta – sono tantissimi. Vale la pena? Loro ne sono convinti. Tanto che vivono proprio lungo la parete del cratere esteriore, passano il temp pescando, campeggiando e facendo delle belle nuotate. E come attività, oltre all’agricoltura, c’è anche la fabbrica di un distillato, il shochu, simile alla vodka ma tradizionale della cultura giapponese.
In più il vulcano, a questi coraggiosi, regala anche sorgenti di acqua calda ed energia geotermica. Tradotto: saune naturali e forni naturali. Un turista, come scrive qui lo Smithsonian, ha raccontato che è possibile cuocere la pasta soltando appoggiandola sopra a uno dei tanti sfiatatoi dell’isola.
L’unico problema, oltre al rischio di trovarsi travolti da un’eruzione nel giro di poche ore, c’è il fatto che i venti e la pioggia impediscono di utilizzare la bicicletta. Ad Aogashima ci si muove in macchina, oppure si cammina.