Maestri in mostra Niente da fare, Zerocalcare non è un maître à penser politico

I curatori della mostra di Zerocalcare al Maxxi di Roma hanno scelto di accogliere il visitatore con una lunga biografia politico-sociale del fumettista. Che è un genio, ma non è l’intellettuale engagè della periferia che la sinistra desidera

“Di un autore – scrive Italo Calvino – contano solo le opere (quando contano, naturalmente)”. I curatori della mostra di Zerocalcare al Maxxi di Roma*, invece, hanno scelto di accogliere il visitatore con una lunga biografia politico-sociale del fumettista, raccontando anno per anno cosa accadeva nel mondo mentre egli individuava e perfezionava il proprio talento. Insomma, avvertono subito: “Ehi, vi trovate di fronte a un artista che è dentro la storia: non un disegnatore e basta”.

Si comincia nel 1998, quando Öcalan chiede asilo politico all’Italia e Zerocalacare scopre la questione curda. Poi c’è la rivolta di Seattle – 1999 – e Zerocalcare viene contagiato dal desiderio di rivincita sociale che si diffonde nel mondo, dopo anni di individualismo. Arriva il 2000. L’ambiente antagonista dei centri sociali si prepara alla sommossa no global e Zerocalacare – all’epoca un punkettone con una cresta rossa in testa, che non beve, non fuma e non si droga – viene picchiato selvaggiamente da un manipolo di fascisti a Bologna. E così via fino al 2018. Quando Zerocalcare ha già un successo editoriale enorme. Ma conquista anche il ruolo: “Appare in copertina sul numero di fine luglio de l’Espresso, prendendo parte a un dialogo con Michela Murgia sulla militanza politica e l’esigenza di schierarsi”.

La metamorfosi è compiuta. Da super talento che disegna manifesti per i concerti punk, volantini per i cortei contro gli sgomberi delle case occupate o per il ricordo dei martiri generazionali (“le guerre non si vincono solo con i vivi”, scrive, meravigliosamente, in una tavola), Zerocalacare si trasforma in maître à penser della sinistra italiana, che comincia a percepirlo come una figura capace di avvicinarla agli strati che le sono più misteriosi della società.

Da super talento che disegna manifesti per i concerti punk, Zerocalacare si trasforma in maître à penser della sinistra italiana, che comincia a percepirlo come una figura capace di avvicinarla agli strati che le sono più misteriosi della società

Zerocalcare, infatti, è cresciuto a Rebibbia, un quartiere di Roma che un tempo è stato borgata, con le case di fango e lamiera. Ora c’è il carcere, la metro B e gli appartamenti si vendono a 3.250 euro al metro quadro, nonostante la crisi del mercato immobiliare. Le storie che racconta Michele Rech – questo il nome reale di Zerocalcare – si svolgono per la maggior parte qui, in questo quartiere che per i pigri di spirito evoca ancora il sottoproletariato mitizzato da Pier Paolo Pasolini – che a Rebbibia andò a vivere subito dopo essere scappato da Casarsa senza un soldo – ma che oggi è abitato da persone che hanno l’iPhone in tasca, guardano le serie Netflix sul pc di casa, si fanno consegnare la cena a domicilio, come in qualsiasi altra parte di Roma, d’Italia e dell’Occidente.

La sinistra cerca di venire a capo dell’enigma sociale che le appare quando guarda il mondo e la lettura di Zerocalcare la aiuta a calmare l’ansia di aver perso il controllo del posto che le procura il senso di colpa più atroce: la periferia. Luogo mitico dell’abbandono, della violenza, dei voti persi, della rabbia, dell’odio, della paura, della disperazione, dell’insulto. Uno spazio cittadino investito di così tanti significati che non è certo esista davvero nella realtà.

Quando si attraversa la sezione “pop” della mostra – quella da cui tutto nasce (le altre tre sono “lotte e resistenze”, “non reportage” e “tribù”) – si avverte la reale proporzione dell’equivoco. Nei disegni compaiono I cavalieri dello zodiaco, L’uomo tigre, Ken il Guerriero, Dragon Ball, Mila e Shiro, Paperino, il game boy, i dettami del maestro Yoda di Star Wars, Jurassic Park. Non c’è niente che riporti alla politica, oppure alla sociologia. Poiché il talento di Zerocalcare non si trova in quel territorio: è nella capacità di raccontare cosa si muove nella testa delle persone cresciute come lui, guardando ore e ore di quei cartoni animati, giocando intere giornate ai videogiochi, consumando film che non si consumano mai. Sono le stesse persone che improvvisamente, e tutte insieme, si sono trovate nel mondo nuovo di internet, con le sue fissazioni, la cattiveria, l’emozione urlata, le psicosi virali, il mondo a portata di mano, l’estraniazione, la banalità, l’ironia, il sarcasmo.

Non c’è niente che riporti alla politica, oppure alla sociologia. Poiché il talento di Zerocalcare non si trova in quel territorio: è nella capacità di raccontare cosa si muove nella testa delle persone cresciute come lui, guardando ore e ore di quei cartoni animati, giocando intere giornate ai videogiochi


Zerocalcare coglie, nella neo-superficialità di massa, ciò che è destinato a rimanere, ripetersi, perpetuarsi, sedimentandosi come tratto tipico dell’epoca. Per esempio. La fissazione della reperibilità. Il flusso di retorica che scatena la morte di un personaggio celebre, pianto come una persona di famiglia. L’inevitabile trascendere di qualsiasi discussione social nell’incomunicabilità e nel turpiloquio. Il tutto raccontato planando sulle cose dall’alto. Con umorismo, divertendo.

Il conflitto politico che raffigura – ossessivo, ricorrente, addirittura premessa della sua ispirazione artistica – è un puro frutto della sua immaginazione. Sulla parete in cui sono esposte le decine e decine di manifesti disegnati per i gruppi, gruppetti e gruppuscoli della sinistra estrema (sono opere raccolte per la prima volta, e sono commoventi per la passione, la dedizione e la gratuità che testimoniano), si vedono orde di incappucciati, immagini di rivolta, polizia in tenuta antisommossa, barricate, molotov, manganelli, cori, assalti. Sembra che l’Italia abbia vissuto, negli ultimi decenni, un “biennio rosso” lungo vent’anni. Eppure, escluso il movimento contro il G8 di Genova, niente di tutto ciò è realmente accaduto nel Paese. Nemmeno nelle tavole di Andrea Pazienza – disegnate negli anni del movimento del Settantasette, a Bologna, quando irruppe per l’ultima volta l’utopia rivoluzionaria – c’è la stessa quantità di conflitto sociale. Una grande guerra politica, che vive nella – e della – sua fantasia.

Il conflitto politico che raffigura – ossessivo, ricorrente, addirittura premessa della sua ispirazione artistica – è un puro frutto della sua immaginazione

La sinistra culturale che conta e che ha scoperto il fumettista, però, si è innamorata soprattutto della possibilità dell’intellettuale engagé. Ha creato il fenomeno Zerocalcare, disegnando l’abito da fargli indossare. E lui, l’artista, seppur protetto dalla timidezza, e nella sua maniera ritratta, ha indossato i panni in cui desideravano vederlo.

La sinistra ha adorato l’adorazione con cui Zerocalcare, come il più indifeso idealista, ha raccontato la causa dei curdi di Kobane, nei reportage che ha disegnato per Internazionale. Idealizzando i guerriglieri curdi fino al punto di attribuirgli una potenza salvifica anche per noi, occidentali, europei, che tutte le cose che essi proclamano nei loro programmi – emancipazione femminile, autonomia, democrazia – le abbiamo acquisite almeno da settant’anni. Ancor di più, la sinistra si è innamorata dell’angoscia con cui Zerocalcare disegna l’avanzare dei nuovi fascisti: un’onda nera che nei voti contati alle ultime elezioni ha totalizzato uno zero virgola da pernacchia, ma che nelle tavole di Zerocalcare assume le caratteristiche di una minaccia incombente e feroce. Un nuovo ventennio dietro l’angolo.

Certo è rassicurante avere dei nemici che si conosco da una vita. Verrebbe voglia di addormentarsi e sognare Zerocalcare rinchiuso in galera mentre abbozza la sua opera ultima, I disegni dal carcere. Eppure: “Non si può spiegare ogni cosa precipitando nel pozzo del fascismo risorgente”, ha scritto su Repubblica l’ex direttore Ezio Mauro, polemizzando con la facilità con cui si attribuisce l’etichetta di fascismo a qualsiasi cosa non rientri nel canone dell’estinta normalità. “Il regime non c’è – dice Ezio Mauro –, le garanzie costituzionali restano intatte”. Non è Zerocalcare il suo bersaglio, certo: è l’antifascismo che Zerocalcare raffigura, mentre i suoi vicini di barricata schematizzano, fascistometrizzando l’esistenza nazionale. È una vecchia storia: l’artista e la sua presenza pubblica. Non vi vogliamo annoiare. Si vede a occhio nudo che Zerocalcare non è Jean-Paul Sartre. È un genio, nel suo genere. Ma non tutti i geni sono buone guide fuori dal mondo che hanno disegnato.

*Scavare fossati. Nutrire coccodrilli: fino al 10 marzo 2019 al Maxxi di Roma

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