Bastone e carotaDa Houellebecq a Murakami, i libri da evitare nel 2019 (ma attenti, è in arrivo un nuovo, feroce Cormac McCarthy)

A fronte dei soliti italiani boriosi e stranieri alla frutta buttatevi tra le pagine del drammaturgo tedesco Schimmelpfennig, scoprite il fascino del critico d'arte Filippo Tuena e leggete il nuovo McCarthy. Solo loro vi faranno appassionare

Stephen Lovekin / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Il bastone. Non sono Nostradamus, certamente sono uno str**zo, ma se c’è una cosa insopportabile è il mercanteggio festivo degli editori generalisti i quali, industriosi impresari dell’ovvietà, hanno già scoperto il capolavoro del 2019 prima ancora che lo leggiate, secondo me si sono già accordati, sotto a chi tocca, sottobanco, per dare uno Strega a te un Campiello a te, la letteratura italiana è un tu-per-tu di editori col tutù, è il tuca tuca dei soliti noti, i virtuosi del salotto, gli equilibristi della correttezza, incapaci di andare oltre la soglia del proprio ombelico, narcisisti di periferia.

Così, Serotonina, l’ultimo libro di Michel Houellebecq (La Nave di Teseo) è già il primo, il più vertiginoso e il più bello, e se osi dire che lui, MH, è un bluff, un joker nichilista, prodotto ideale per l’epoca di lettori sottodotati e piacioni – se fossero in giro Cioran, René Char, Samuel Beckett, Henry de Montherlant, Michel Jouhandeau, ma chi se lo filerebbe – figurati, ti danno del deficiente, MH, nonostante lui, è la vitamina C della letteratura contemporanea, fa bene a tutti, fa sentire intelligenti gli incauti.

Devo dire, però, che a leggere il catalogo delle novità del 2019 MH è il meno peggio, siamo al disastro ambientale, dove sono gli ecologisti del linguaggio?, il 2019 si appresta ad essere letteralmente e letterariamente terribile. Il centravanti di sfondamento della nuova stagione letteraria non è Murakami Haruki – con la seconda parte de L’assassinio del Commendatore il samurai delle classifiche librarie intende rosolarci nel tedio e nel fumoso, beh, fregato una volta io non ci sto più – ma Marco Missiroli, che è passato da Feltrinelli a Einaudi – dopo aver fatto il cursus honorum tra Fanucci e Guanda – ed esattamente un anno fa, l’11 gennaio 2018, a Ida Bozzi, sul Corriere della Sera – su cui firma pure lui – confessava, questo il titolo, “Nel 2020 il mio libro-padre”. Le cose non sono andate così, il tempo stringe e la voglia freme, il romanzo di questo scrittore ancora in cerca di una statura linguistica – dai primi libri, Senza coda e Il buio addosso, di gioviale ingenuità, all’ultimo, Atti osceni in luogo privato, è un precipizio dalla scommessa alla promessa mancata – che s’intitola Fedeltà, esce un anno prima, quest’anno.

D’altronde, Missiroli, allampanato e con il muso da falso scemo, emblema dello scrittore piacione, che piace a tutti – ci sono cascato anche io, anni fa, presentando, per grazia, insieme a lui, a Santarcangelo di Romagna, lo sgangherato Il senso dell’elefante – infedele a se stesso – mezza vita passata a sparlare della Scuola Holden di cui, oggi, frequenta sale e corridoi – è cotto a puntino per vincere una mannaia di Strega, per fare il salto della quaglia, verso le insidie stregate della fama.

D’altronde, Missiroli, allampanato e con il muso da falso scemo, emblema dello scrittore piacione, che piace a tutti – ci sono cascato anche io, anni fa, presentando, per grazia, insieme a lui, a Santarcangelo di Romagna, lo sgangherato Il senso dell’elefante – infedele a se stesso – mezza vita passata a sparlare della Scuola Holden di cui, oggi, frequenta sale e corridoi – è cotto a puntino per vincere una mannaia di Strega, per fare il salto della quaglia, verso le insidie stregate della fama.

Gli editori-transatlantico, costretti a stampare cani & porci, politici, politicanti & cuochi stellati, quando puntano su uno scrittore ti rifilano il solito piatto, non possono permettersi l’insolito e l’inconsueto (cioè il sale della letteratura), così dovremo subirci l’ultimo di Chiara Gamberale (L’isola dell’abbandono, stampa Feltrinelli), l’ennesimo Gianrico Carofiglio (La versione di Fenoglio, Einaudi), ancora Andrea Vitali, che palle (Certe fortune, stampa Garzanti), speriamo che Edoardo Albinati (Cuori fanatici, Rizzoli) abbia scritto un romanzo migliore del precedente, Un adulterio, che patetico strazio, ci rifilano pure Michela Marzano che, cito, con Idda (Einaudi) “indaga sull’identità, la famiglia e l’amore attraverso la storia di due donne di diverse età che si rispecchiano tra passato e presente” (fonte: Ansa), che detta così è il menù per ogni cenone, per ogni stagione, che indigesto sociologismo, per fortuna Feltrinelli annuncia la nuova edizione dello Zibaldone di Leopardi. Ora: sarà spiritato ma non sono scemo.

L’esercizio della stroncatura a priori è sadico, borioso, in fondo cretino. Però. Mi ribello all’indecenza culturale. I ‘mezzi d’informazione’, chiamiamoli così, quelli che rilanciano i desiderata degli editori per supportare i loro desideri di vendita, parlano solo di alcuni libri e mai di altri, parlano solo dei libri di cui, per correttezza, sussiego, leccaculaggio al cubo, parleranno tutti, con la coda tra le gambe. Ecco. Io parlerò di tutto il resto.

La carota. Tre cose mi rincuorano l’anno, m’infuocano, perfino. La prima è che ho trovato il libro con cui sostituire la masturbazione nichilista di Houellebecq. S’intitola In un chiaro, gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo. Il titolo fa schifo, l’autore, Roland Schimmelpfennig, è arcinoto come drammaturgo, è tedesco, e questo è il suo primo romanzo, stampa Fazi. Non è un capolavoro. Ma è un libro lucido, che articola diverse vicende – spesso di lisergica sofferenza – intorno all’apparizione, quasi mistica, mefistofelica, di un lupo. Esce tra poco, io l’ho già letto, vale la pena.

La seconda è lo scrittore italiano su cui punto quel poco di testa che ho. Filippo Tuena. A febbraio il Saggiatore pubblica Le galanti, libro spropositato – 660 pagine – illustrato, finalmente anomalo, dove esplode la tempra da storico dell’arte di Tuena. “Un’opera-mondo che ha il gusto della storia umana e il sapore dell’introspezione biografica”, lo definisce la quarta, e poi, con malizia, “il libro definitivo di un autore magistrale”. Nulla di davvero definitivo si può scrivere, e la maestria è convalidata dai posteri, ma Tuena è uno dei pochi scrittori italiani che ci restano, ho letto le prime pagine, sono invidiabili, in direzione contraria alla sciatteria formale odierna.

La terza cosa che mi rincuora è leggenda. Dal 2015 si parla dell’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, The Passenger, la trama ricavatela su internet, doveva uscire nel 2016, poi nel 2017, poi l’anno scorso, pare che uscirà quest’anno. Il romanzo precedente, The Road, parabola del padre e del figlio in un’era senza senso e senza meta, intossicata dalla crudeltà, è del 2006. Cormac McCarthy, che ha scritto uno dei romanzi più possenti di sempre, Meridiano di sangue, uno dei libri americani che vanno di fianco a Moby Dick e che provoca l’invidia oltremondana di William Faulkner, dice l’uomo e il suo enigma, la tortura della storia, il ghigno del dio atroce, la costanza della crudeltà; decritta ciò che non dà scampo. McCarthy leviga le parole, olia i verbi, li interra, crea una generazione di frasi rapaci, che convertono il resto della letteratura a mugolio – partite dove vi pare, ogni assaggio è già meta, da Il buio fuori o dalla magnetica ‘Border Trilogy’, Cavalli selvaggi, Oltre il confine, Città della pianura – sa aggiogare il puma della sapienza.

Già. Il 2019 lo passerò così. A rileggere l’opera intera di Cormac McCarthy.

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