Il balletto dei demPd modello Cgil: verso un accordo Zingaretti-Martina per salvare la baracca (e rottamare Renzi una volta per tutte)

Mentre c'è scontro persino su quanti voti hanno preso i candidati, sullo sfondo si profila una nuova coalizione: quella (apparentemente) impossibile tra l'ex segretario e il governatore del Lazio. L'esatto contrario a ciò a cui Renzi puntava, e il piano perfetto per salvare il partito. Per ora

Alberto PIZZOLI / AFP

Il cielo è plumbeo sopra il Pd. E Nicola Zingaretti, che ancora non è segretario, comincia a farsi un’idea di quante e quali saranno le “gatte da pelare” se e quando prenderà posto nella stanza dei bottoni al secondo piano del palazzone a Largo del Nazareno. E così, mentre deputati e senatori dem fanno spola tra Siracusa, per la staffetta democratica sulla nave Sea Watch, e Napoli, per rendere omaggio a Gino Sorbillo nel giorno della riapertura della sua pizzeria dopo l’attentato della scorsa settimana, il partito, nel torpore generale, si avvicina al giorno della convenzione nazionale, che decreterà i primi tre candidati votati dagli iscritti.

Il dibattito (surreale) su quali siano i dati reali, parecchie ore dopo la chiusura degli ultimi seggi, è il simbolo di un partito in totale crisi di nervi. Il capo della commissione congresso Gianni Dal Moro è chiuso a Roma alla ricerca di una sintesi. C’è chi dice che abbiamo votato 190mila persone, chi sostiene siano 160mila. Gli uomini di Zingaretti vedono il governatore del Lazio ad un passo dal 50 per cento (soglia che, a dirla tutta, ora non rappresenta alcun traguardo fondamentale, a differenza di quel che sarà alle primarie del 3 marzo), quelli di Martina considerano l’ex segretario molto vicino al suo sfidante. E intano Giachetti (in tandem con Anna Ascani) si gode la terza piazza, condannando Boccia, Corallo e Saladino al ruolo di comparse.

A proposito di caos, la candidatura del deputato romano, decisa in extremis, sta creando il panico in quella che una volta era considerata l’area renziana, fino a pochi mesi fa lo zoccolo duro del Pd, la stragrande maggioranza dei gruppi parlamentari. «Oggi – rivela una fonte vicina a quel che fu il Giglio Magico – ognuno viaggia per la sua strada. Chi con Martina, chi addirittura con Zingaretti. È ciò che ha voluto Renzi: siccome non posso vincere, siccome non posso più comandare, allora meglio bruciare tutto. Questo è stato il ragionamento dopo che è naufragata la candidatura di Minniti». E l’incendio, sibilano nei corridoi del Nazareno, è stato appiccato quando Luca Lotti ha pensato di poter diventare il deus ex machina dei renziani.

«Esattamente in quel momento – sottolinea la nostra fonte – Renzi ha deciso che, appoggiando Martina e cercando di far convergere sul suo nome il corpaccione della corrente, Lotti aveva strabordato». E così, anche grazie all’aiuto silenzioso di Maria Elena Boschi (e dei suoi fedelissimi), è arrivata l’accelerazione su Giachetti. Non è un caso che i risultati più favorevoli per l’ex candidato sindaco di Roma si siano registrati in Toscana, dove l’ex premier ha voluto mandare un messaggio molto preciso a quello che aveva sempre considerato il suo uomo più fedele, confezionando delle vittorie ‘bulgare’ per il tandem Giachetti-Ascani.

Non essendo ancora mature le condizioni per un nuovo partito, Renzi ha fatto capire che non ha alcuna intenzione di stare a guardare, come invece va sostenendo pubblicamente da mesi. Il risultato di tutto questo è che chi si immaginava un accordo tra Martina e Giachetti, in ottica anti-Zingaretti, deve rivedere i suoi calcoli

Il messaggio è arrivato, forte e chiaro, anche al resto del partito. Non essendo ancora mature (anche e soprattutto per mancanza di finanziatori) le condizioni per un nuovo partito, Renzi ha fatto capire che non ha alcuna intenzione di stare a guardare, come invece va sostenendo pubblicamente da mesi. Il risultato di tutto questo è che chi si immaginava un accordo tra Martina e Giachetti, in ottica anti-Zingaretti, deve rivedere i suoi calcoli. L’ex Radicale ha impostato la sua campagna congressuale più contro quello che, in teoria, era il candidato più vicino a lui (Martina), accusandolo di essere troppo poco renziano. Immaginare adesso che i due (e, soprattutto i rispettivi supporter) possano arrivare a più miti consigli, nel caso in cui il presidente della Regione Lazio dovesse fermarsi, nel voto dei gazebo, sotto il 50 per cento, sembra al momento lunare.

È in questo contesto, dunque, che prende piede l’ipotesi di una segreteria unitaria, alla Cgil Landini-Colla, tra Zingaretti e Martina (con la benedizione di Paolo Gentiloni) e i renziani messi ai margini. Un’idea smentita da tutti i diretti interessati ma su cui, in realtà, si sta lavorando alacremente. Anche perché, una volta terminata la conta interna, il nuovo Pd verrà subito investito dall’onda della campagna elettorale europea e, soprattutto, dalla composizione delle liste che si preannuncia più ingarbugliata che mai, a cominciare dalla posizione da tenere in relazione alla proposta unitaria di Carlo Calenda, che, dopo l’entusiasmo iniziale, sta ora facendo i conti con non pochi distinguo, dentro e fuori il mondo dem.

Mettiamoci il fatto che le casse del partito siano ormai totalmente dissanguate e il quadro è completo: per il nuovo segretario, la missione sembra proprio di quelle proibitive, se non impossibili.

Ma, in tutto questo, ci sono due date sul taccuino di tutti i dirigenti dem, in particolare di chi ne dovrà assumere la guida. Le date in questione sono quelle del 10 e del 24 febbraio, che coincidono con le elezioni regionali in Abruzzo e in Sardegna. I sondaggi ufficiali parlano di un Pd assolutamente in partita, intorno al 30 per cento in entrambe le regioni. Se per caso le due campagne, come sostengono alcuni deputati ben informati, dovessero consegnare un partito vincente (già vivo e vegeto sarebbe una notizia), allora il prossimo leader potrebbe guardare al futuro con un minimo di fiducia in più. Nonostante tutto e nonostante tutti.

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