Il grillo parlanteDai gilet gialli al disastro Brexit: le élite europee ormai non ci capiscono più nulla

L'uscita del Regno Unito dall'Ue è la storia del più sorprendente e improvviso fallimento di quella che era ritenuta la classe dirigente più preparata al mondo.

Mark DUFFY / AFP / UK PARLIAMENT

Quella della Brexit assomiglia ormai, anche se gli assomigliava sin dall’inizio, a quella che, forse, è la più inglese delle grandi tragedie di Shakespeare: una tragedia nella quale si sta consumando non solo un grande Paese ma quella che è, forse, la più preparata delle élite del mondo: ed è questa la notizia più importante se vogliamo staccarci dalla cronaca e capire cosa ci sta sfuggendo di mano. A Londra ed in tutto l’Occidente. Nel Re Lear, un sovrano felice e le sue tre figlie si condannano, senza che ce ne sia un motivo evidente, a un processo che porta, un po’ alla volta, a un esito catastrofico, nonostante le pur numerose possibilità di uscita che la vicenda presenta ai propri protagonisti. Come se fossero tutti attratti da una forza misteriosa, sovrannaturale, irrazionale che li spinge verso il disastro finale. Ed, in effetti, ciò che meraviglia di più degli accadimenti che avvengono tra Westminster e Bruxelles, è l’irragionevolezza dell’intero processo.

Si rifiuta la possibilità di un secondo referendum in nome della democrazia, anche se il primo referendum è stato, comunque, deciso con uno scarto inferiore al due per cento ed è plausibile che, dopo due anni di furioso dibattito, i britannici abbiano maturato un’opinione più matura sulla questione. Si è cercato con ostinazione un compromesso, comunque, perdente che avrebbe lasciato gli inglesi nella posizione di chi paga l’iscrizione ad un club esclusivo come quello di golf di San Andrews, senza però più partecipare alle decisioni del comitato esecutivo. E, adesso, ci si trova più vicini al baratro che porterebbe non solo alla recessione, ma – molto più grave – alla disunione del Regno Unito, perché il giorno dopo l’uscita, certamente la Scozia, forse il Galles ed, in maniera ancora più drammatica, l’Irlanda del Nord potrebbero chiedere di staccarsi da Londra.

Ciò che sorprende è l’irragionevolezza. Eppure, sulla carta non esiste nel mondo, una classe dirigente politica selezionata ed intellettualmente attrezzata quanto lo è quella del Regno Unito.

Ecco ciò che sorprende è l’irragionevolezza. Ma, ancora di più, e su questo non si può evitare di dare ragione a Corbyn che, pure, sta facendo una valanga di errori, l’incompetenza, visto che, sostanzialmente, si è arrivati alla brexit senza un piano. Senza neppure prevedere che ci sarebbe stato bisogno di costruire una dogana tra Irlanda del Nord e quella del sud e che ciò avrebbe fatto saltare una polveriera sedata dopo decenni di guerra civile. Eppure, sulla carta non esiste nel mondo, una classe dirigente politica selezionata ed intellettualmente attrezzata quanto lo è quella del Regno Unito. Fa, forse, eccezione, la Cina che, però, segue altri criteri; mentre gli Stati Uniti hanno, da tempo, scoperto che, come ha denunciato The Economist, entrare in una università Ivy League è un privilegio che spetta, quasi esclusivamente, ai figli di chi, a sua volta, si è laureato a Princeton o ad Harvard e che studiare non è più, necessariamente, un ascensore sociale.

Fa, faceva, eccezione il Regno Unito che, forse, ha il dibattito più informato dell’Occidente e che ha una concentrazione di capitale umano che, in proporzione alla dimensione del Paese, è superiore a quello di qualsiasi altro Paese. Oxford e Cambridge sono, per qualsiasi classifica delle migliori università del mondo, tra le prime cinque del pianeta. Soprattutto lo sono nell’immaginario collettivo di tutti i ragazzi e le ragazze e in tutti i Paesi del mondo. Ed è in uno dei due atenei che si sono formati la metà dei ministri del governo di Theresa May e un terzo dei membri del Parlamento. Provenire da un percorso accademico d’élite è ancora più obbligatorio per poter accedere alle posizioni di vertice nel Partito conservatore che si sta sfarinando nell’ora più buia. Dei quattordici primi ministri inglesi che hanno guidato il Regno dalla fine della seconda guerra mondiale, sono dieci, compresa la May – quelli che si sono laureati ad Oxford (e solo perché gli altri quattro – compreso il leggendario Winston Churchill – preferirono frequentare un corso di qualificazione professionale).

Siamo come sospesi tra un modo di essere leader che è, forse, superato; tentativi di sostituirlo goffi e destinati a non durare; ed una sintesi alla quale, probabilmente, non ci sta lavorando, ancora, nessuno.

Al di là delle polemiche spesso sterili su chi è che porta la colpa di ciò che sta avvenendo a Londra e sulle previsioni spesso sballate sulle conseguenze economiche che ciò potrebbe produrre, la Brexit è, soprattutto, questo: la storia del più sorprendente e improvviso fallimento di quella che era ritenuta la più preparata classe dirigente politica del mondo. La conferma che siamo, evidentemente, in presenza di una mutazione innescata da una rivoluzione tecnologica che rischia di rendere obsoleti un intero meccanismo di formazione e selezione delle élite che ha funzionato fino a diciannove anni fa. Fino all’inizio di un ventunesimo secolo che sta cambiano davvero tutto.

Ciò del resto è confermato anche dai problemi di Macron che viene dall’Ena e degli establishment americani che non hanno fermato Trump. E, tuttavia, il fatto ancora più paradossale è che ad esiti paradossalmente simili a quelli della brexit e a marce indietro umilianti dopo aver tentato di forzare le regole del “vecchio regime” (europeo), arrivano anche i “nuovi” che hanno conquistato il potere in Italia (e non solo) speculando sulla crisi delle élite. Il dato appare, insomma, che siamo come sospesi tra un modo di essere leader che è, forse, superato; tentativi di sostituirlo goffi e destinati a non durare; ed una sintesi alla quale, probabilmente, non ci sta lavorando, ancora, nessuno. Dovrebbe essere questa, invece, la creazione di una leadership all’altezza di una rivoluzione che è già in corso, la preoccupazione massima di chi volesse provare a governare una modernità così liquida.

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