Oltre la gig economyDecreto rider, la parola all’esperto: “Così non serve a nulla. Il governo tuteli tutti i freelance”

A tre giorni dalla sentenza d’appello di Torino sui rider di Foodora, il governo torna ad annunciare una norma ad hoc per i fattorini. L’esperto: “Un decreto spot solo sui fattorini del food delivery non ha senso, serve una norma per tutti i freelance, migliorando l’art.2 del Jobs Act”

Venerdì (11 gennaio) la sentenza d’Appello di Torino su Foodora fa notizia sui giornali. Lunedì (14 gennaio) arriva l’annuncio del ministero del Lavoro: “Pronta la norma per i riders”. I ciclofattorini delle consegne del cibo a domicilio tornano così, a sorpresa ma non troppo, a essere una priorità per il governo gialloverde.

Dopo la giravolta dal “decreto dignità” sui rider di giugno – che annunciava l’obbligo di assunzione dei fattorini – al più mite tavolo di concertazione con sindacati e aziende, la questione era finita in un pantano. E i fattorini a novembre erano stati costretti a protestare per essere ricevuti dal ministro, che invece all’inizio aveva fatto di loro il simbolo della lotta alla precarietà del lavoro.

Ora, mentre le grandi piattaforme del food delivery (Da Deliveroo a Glovo, riunite in Assodelivery) hanno respinto una proposta di accordo arrivata dal governo, dopo mesi di attesa il ministero guidato da Di Maio torna in campo e si dice pronto a un decreto ad hoc per i rider del cibo: «Entro marzo, ai lavoratori che effettuano consegne per conto delle app di food delivery, saranno assicurati tutele su malattie, infortuni e paga minima. L’Italia si prepara ad essere la prima nazione europea a normare questa professione. Qualche giorno ancora per chiudere i dettagli», scrivono in un breve comunicato.

Non serve un “decreto spot” sui rider del food delivery, che sono 6-7mila. Miglioriamo l’art. 2 del Jobs Act a cui hanno fatto riferimento i giudici d’appello di Torino per tutelare tutti i freelance italiani”


Valerio De Stefano, docente di Diritto del lavoro all’Università di Leuven

Il testo del provvedimento ancora non si conosce. Ma la cronologia degli eventi fa già storcere il naso agli esperti di diritto del lavoro. «Non si regola il mercato del lavoro a seconda della homepage dei giornali», commenta Valerio De Stefano, docente di Diritto del lavoro all’Università di Leuven, in Belgio, ed esperto di gig economy. «La legislazione non può nascere da un accadimento specifico. Nessuno nega che ci sia bisogno di maggiori tutele per i rider, ma un decreto legge solo sui rider del food delivery ha poco senso. Oltre al fatto che la platform economy ingloba molte altre tipologie di lavoratori, c’è un fenomeno più vasto in Italia di lavoro qualificato come autonomo ma che autonomo non è, e che va regolato. E la sentenza della Corte d’Appello di Torino fornisce la direzione per farlo».

Il riferimento è all’articolo 2 del Jobs Act (decreto legislativo 81 del 2015), al quale i giudici di Torino lo scorso 11 gennaio hanno fatto riferimento per equiparare i rider di Foodora ai fattorini classici con contratto di lavoro subordinato. La norma estende le tutele del lavoro subordinato anche a quello autonomo, rimettendo nelle mani dei sindacati la possibilità di fare accordi specifici.

Finora i giudici hanno però interpretato in maniera restrittiva questa parte del Jobs Act, tant’è che in primo grado il tribunale di Torino aveva respinto le richieste dei fattorini. «Ora, anziché emanare un decreto sull’onda dell’attualità, bisognerebbe invece capire come migliorare questa norma perché venga applicata non solo ai rider ma a tutto il lavoro freelance», dice De Stefano.

Ad oggi, nonostante non esistano stime ufficiali, si calcola che in Italia i rider del food delivery siano 6-7mila. Una piccola parte della più vasta gig economy. E anche una piccola parte del mondo degli autonomi con finti contratti da freelance. «I rider sono solo il fenomeno più visibile del finto lavoro automo che necessita di tutele», conferma De Stefano. «E per giunta il combinato disposto tra decreto dignità e flat tax sulle partita Iva potrebbe ora rendere il lavoro autonomo molto più conveniente per i datori di lavoro, facendo proliferare le false partite Iva in molti settori. Ecco perché, a maggior ragione, non serve un “decreto spot” sui rider: miglioriamo quella norma del Jobs Act e tuteliamo tutti i freelance italiani».

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