È un esercizio surreale ma necessario immaginare al governo dell’Europa l’Internazionale del Casino che si profila dopo l’incoraggiamento di Luigi Di Maio ai Gilet Gialli perché fondino un partito, ne gestiscano le candidature usando la piattaforma Rousseau e aprano in Francia la Quinta Repubblica, quella della democrazia diretta – qualunque cosa significhi – e del governo dei movimenti «orizzontali e spontanei». In questo schema distopico avremmo una Francia guidata da ex-camionisti e ipnoterapisti come Jacline Mouraud (la signora più rappresentativa della protesta); la Gran Bretagna nel caos del post-Brexit; l’Italia appesa al contratto di governo tra due forze per molti versi incompatibili; il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) per i fatti suoi, in equilibrio sul crinale dei regimi autoritari; la Spagna inchiodata dal separatismo catalano. Dell’Europa come la conosciamo resterebbe la Germania, troppo forte e troppo ricca per generare movimenti disgregativi, e la povera Grecia, che la sua libbra di carne al secolo nuovo l’ha già consegnata.
E tuttavia se questa Internazionale del Casino si afferma, trova collegamenti oltre ogni connessione ideologica, se arriva al punto di giustificare anche l’uso spregiudicato della violenza di piazza – mai si era vista un’alta carica italiana solidarizzare con movimenti che sfasciano città – non succede per un accidente della storia. Sono almeno tre gli errori capitali delle elite europee, non più rimediabili né arginabili nelle loro conseguenze.
Il primo è stato quello dei Conservatori inglesi, e personalmente di David Cameron, che nel 2016 hanno consegnato il futuro del loro Paese alle incertezze di un referendum. Gli altri due riguardano il sostegno e l’incoraggiamento di sistema alla coppia di giovani leader franati nel quinquennio tra le Europee del 2014 e oggi, Matteo Renzi ed Emmanuel Macron: profili biografici e riformisti molto simili, entrambi provenienti da sinistra e decisi a rottamare il linguaggio e le prassi di quel vecchio mondo, entrambi decapitati nel confronto con la realtà.
La possibile costituzione dei Gilet Jaune in partito autorizza a immaginare uno scenario in cui i moderati sono azzerati e il grosso del Paese si divide tra la nuova forza rivoluzionaria battezzata Les Emergents e il vecchio Fn, che ora si chiama Raggruppamento Nazionale. Uno schema molto “italiano”: un grosso partito sovranista affiancato da un movimento dagli incerti contorni dove convergono istanze sociali disparate
La falla francese è l’ultima ad aprirsi, e in qualche modo anche la più singolare. “L’invenzione” di Macron e del suo partito En Marche! rispondeva all’esigenza di riunire i moderati per fermare l’avanzata del Front National e la possibile convergenza sul nome di Marine Le Pen – favorita per l’approdo al ballottaggio – della sinistra di Jean-Luc Melenchon. Oggi, per l’eterogenesi dei fini che spesso governa la storia, la possibile costituzione dei Gilet Jaune in partito autorizza a immaginare uno scenario in cui i moderati sono azzerati e il grosso del Paese si divide tra la nuova forza rivoluzionaria battezzata Les Emergents e il vecchio Fn, che ora si chiama Raggruppamento Nazionale. Uno schema molto “italiano”: un grosso partito sovranista affiancato da un movimento dagli incerti contorni dove convergono istanze sociali disparate.
È questa la nuova forma che prenderà nel vecchio Continente il confronto destra/sinistra? È questa la scelta capitale che si prospetterà agli elettorati europei nel prossimo voto di primavera? Probabile. Lo stordimento dei partiti tradizionali davanti all’affermarsi dell’Internazionale del Casino non consente di immaginare una riscossa della vecchia destra o della vecchia sinistra. Più o meno tutti stanno aspettando che questo mondo nuovo – grillini e leghisti in Italia, separatisti in Spagna, ribelli in Francia, leader autoritari nell’area di Visegrad – si impicchi con le sue mani. “Non dureranno” è la frase che si sente ripetere più spesso a Roma, così come a Parigi si dava per morta la protesta una settimana fa e a Madrid si festeggiava la fine del movimento catalano nei giorni della fuga di Carles Puigdemont. Nessuna di queste previsioni si è avverata. E dirci che un’Europa al traino di queste nuove forze spaventa, fa venire i brividi, mette a rischio le nostre sicurezze, non basterà a esorcizzare gli eventi.