Fa freddo. E quando fa freddo, capita sempre, la città intorno diventa ancora più respingente. Cambiano le sagome, cambiano i confini, anche gli sguardi rimangono tutti schiacciati dall’imbacuccamento generale. È democratico, il freddo: si infila addosso a chiunque lo attraversi senza nessuna cerimonia, senza nessun rispetto. Ha freddo la madre che batte le scarpe di marca mentre aspetta la campanella della scuola che vomiterà suo figlio, ha freddo l’incravattato a cui è andata male l’ultima trattativa e hanno freddo quelli che ci convivono tutto il giorno e, beati loro, ogni volta commettono l’errore di esserselo fatto amico. E invece niente. Solo a Roma sono state tradite dal freddo dieci persone: gli hanno augurato buonanotte che era poi il modo di chiedergli di essere clemente e alla fine si sono risvegliati surgelati. Anzi, non si sono svegliati affatto.
Fa freddo anche a Castelnuovo di Porto, ma non è di questo che vogliamo parlare. I telegiornali dicono che arriverà la neve, speriamo che chiudano le scuole, dicono i bambini. Se lo dicono tutti, i bambini neri, i bambini rossi, i bambini che mischiano poco italiano con poco cinese, i bambini che torneranno a casa con gli ultimi modelli di giocattoli arrivati a Natale e quelli che si scalderanno da soli una merenda in un fornelletto a gas a cui la ruggine ha smussato gli angoli. Sono democratici i bambini: è casa dove ci si sta allungati abbastanza per dormire, è famiglia ciò che concorre al pranzo e alla cena, è amicizia coloro che incontri in cortile.
E invece sarebbe da chiedersi, sarebbe da chiederlo a quelli che amministrano la casa comune cosa dovremmo dire alle famiglie che naufragano per mare e poi naufragano anche per terra. Sono fuggitivi per il primo tratto di strada ma poi sono persone alla deriva, in balia delle leggi e dell’indolenza degli Stati che li vorrebbero vedere scomparire
Eppure succede a Castelnuovo di Porto ma succede dappertutto, solo che a Castelnuovo di Porto gli uomini, le donne e i bambini che si strascicano con le valigie sformate in cui hanno provato a metterci tutta una vita dentro sono negri, sono diversi, non sono “la nostra gente” e così viene facile buttarla in politica, quella bassa, che divide le persone per non osservare le fragilità e i bisogni. E invece sarebbe da chiedersi, sarebbe da chiederlo a quelli che amministrano la casa comune cosa dovremmo dire alle famiglie che naufragano per mare e poi naufragano anche per terra. Perché no, non sono mica viaggiatori coloro che non hanno un posto dove andare: sono fuggitivi per il primo tratto di strada ma poi sono persone alla deriva, in balia delle leggi e dell’indolenza degli Stati che li vorrebbero vedere scomparire.
Scomparire. La sparizione di questa gente, troppo povera, troppo poco pulita, così ostinatamente resiliente da farsi una casa anche su un cumulo di spazzatura, è il sogno più grande dei sovranisti d’Europa. Non è un problema di lingua, non è un problema di religione, non è un problema di provenienza e non è nemmeno un problema di talenti o capacità (a quanti di loro qualcuno ha avuto il fegato di chiedergli “che sai fare”?). Questi disturbano perché esistono. Eliminarli è l’unica soluzione. E se è vero che l’eliminazione fisica è troppo anche per i novelli cattivisti del tempo allora bisogna studiare un’eliminazione più dolce, in più mosse. Legittimare i carcerieri, ad esempio, rendendo ufficiale quell’imbuto a forma di Libia che sevizia, ricatta e giustizia con il beneplacito dell’Europa. Trasformare la Libia in un sicario che lascia le mani pulite al resto d’Europa è qualcosa che ha a che fare con la guerra, non c’entrano un cazzo le migrazioni, la povertà, non c’entra nulla l’Africa.
Oppure se malauguratamente i disperati arrivano qui e diventano tangibili, pelle che si scorge, diverso odore che si mischia nei corsi imbellettati in centro città allora bisogna cancellarli disconoscendoli, ripetendogli ogni giorno che le regole sono cambiate, anche se in realtà non ci sono regole, che la loro nuova casa è quel ciancicare trascinando le valigie e bambini con la candela al naso. La finiranno prima o poi di cercare un posto, lo capiranno che non c’è nessun posto, a forza di spargerli ai bordi delle strade come rifiuti non insacchettati. E insozzeranno l’aria. Saranno disturbanti. E lo chiameranno Decreto Sicurezza. Sicurezza di chi? E chissà cosa gli diremo noi, mentre li incrociamo, liberati da una stato di cattività che ora s’è fatto grande come l’Europa, da attraversare senza farsi notare, tenendo a mente che non esistono.