Paradossi italiani: siamo i più impazienti di andare in pensione, eppure invecchiamo meglio di tutti

L'impazienza degli italiani di raggiungere la pensione il prima possibile è cosa acclarata. Eppure le statistiche ci dicono che, in termini di salute, stiamo meglio di tutti in Europa. Sarà solo un fatto culturale? Qualcosa ci dice che non è così

Pixabay

Gli italiani stanno bene. Perlomeno in salute. O meglio, si sentono bene. È quanto emerge, un po’ a sorpresa, dai dati europei. Solo il 5,8% degli italiani al di sopra dei 16 anni afferma che la propria salute sia cattiva o molto cattiva, contro l’8,5% medio degli europei, che in alcuni Paesi dell’Est sale anche oltre il 15%.

E se siamo sesti nella classifica del minor malessere, risultiamo primi tra quanti dicono di soffrire meno di qualche malattia, in particolare di una malattia cronica o presente da lungo tempo. Parliamo qui di diabete, pressione alta, asma, ma anche depressione. Solo il 13,8% degli italiani soffre di qualcuna di queste affezioni, contro una media europea del 36,6%. Tra i tedeschi per esempio ben il 44,2% afferma di avere una di queste malattie. Nonostante ciò, va sottolineato, meno di un quinto di costoro pensa di stare male, mentre in Italia sono poco meno della metà.

Anche volendo rovesciare la domanda, chiedendo quanti si sentono bene o molto bene, rimarremmo tra i primi, con un ottimo 77% di italiani a fronte di un 68,8% europeo.

Ma c’è in particolare una categoria di popolazione che pare cavarsela meglio degli altri. Sono i 55-64enni, ovvero quella fascia di età che da qualche anno si trova al centro delle cronache economiche. Sono coloro che stanno per andare in pensione ma che vorrebbero andarci prima, gli stessi cui stanno venendo riservati diversi miliardi di spesa pubblica proprio per venire loro incontro.

Ebbene, è tra questi che c’è il gap maggiore tra le statistiche italiane e quelle medie europee. Nel senso che la proporzione di 55-64 enni italiani occupati che denunciano una qualche patologia è un quarto di quella degli europei che fanno lo stesso, il 10,6% contro il 40,3%. Distanza che rimane enorme anche tra i non occupati della stessa età. Mentre diminuisce tra gli over 65. Rimaniamo il Paese con meno malati, dove la percentuale è di poco superiore alla metà di quella europea: 33,5% contro 61,4%.

Insomma, lavorare non fa male alla salute se si hanno 60 anni, anzi. Si tratta di dati che sono migliorati in particolare negli ultimi anni. Un po’ in tutte le categorie. In particolare, risalta il calo di quanti giudicavano cattiva la propria salute tra inattivi o pensionati o disoccupati, specie se più anziani. E proprio tra i lavoratori dipendenti 55-64 enni, a guardar bene, i pochi che non si ritenevano in salute sono calati di due terzi.

Per una volta, vale la pena di citare un altro aspetto positivo: l’Italia è tra i Paesi in cui le condizioni di salute cambiano meno in base al reddito. Solo il 6,7% degli appartenenti al primo di quintile di reddito, i più poveri, afferma di non stare bene. Sono il 13,3% in media nella UE e il 16,6% in Germania.

E se si passa agli altri quintili, crescendo fino a quello dei più benestanti, c’è sì un miglioramento, nel senso che la percentuale di coloro che hanno problemi di salute cala, anche se in Italia questo fenomeno non è molto accentuato. Nel nostro caso si scende tra i più ricchi (del quinto quintile) al 3,6%, dunque alla metà. Mentre in altri Paesi la distanza tra ricchi e poveri è anche di 4-5 volte, come in Germania per esempio.

A maggior ragione questo accade tra i 55 e i 64 anni. I poveri italiani di questa fascia d’età che dicono di non essere in salute sono un terzo dei loro coetanei europei che sostengono la stessa cosa: il 5,9% contro il 20,6%. In Germania sono addirittura il 25,8%, ma qui la percentuale crolla tra i più ricchi.

Insomma, a quanto pare i 60enni italiani che lavorano, anche tra chi è povero, sono tra quelli che se la cavano meglio in Europa in quanto a salute.

Si tratta di un primato invidiabile, che una volta tanto dovremmo rivendicare. È il segno della qualità della nostra sanità, oltre che del nostro stile di vita, non solo a livello di alimentazione, com’è intuibile, ma anche di rapporti sociali, familiari e amicali positivi, i quali hanno, come ormai si sa, una ricaduta favorevole sulla salute.

Perciò, che proprio in Italia vi sia più che altrove un’opposizione feroce alla possibilità di lavorare oltre i 60 anni appare alla luce anche di questi dati un fatto inusuale. Non è probabilmente solo un fatto culturale – sarebbe facile dire che si tratta di una generazione, quella dei baby-boomers, che ha avuto tutto facile, e che vorrebbe continuare così fino alla fine.

Chiaramente non è un fatto da escludere, com’è stato del resto ampiamente dibattuto. Tuttavia, avendo fatto saldi l’aspetto sanitario e quello culturale, rimane l’elemento economico e lavorativo. Appare sempre più chiaro, anche secondo altri indicatori (primo fra tutti il livello di istruzione), come il lavoro in Italia sia ancora considerato più come una fatica necessaria che non una realizzazione personale. Piccole imprese che non riescono a offrire un adeguato welfare aziendale, produzioni a basso valore aggiunto, professioni obiettivamente poco appassionanti (le uniche che i tantissimi over 50 con licenza media possono svolgere): tutto ciò non invoglia a rimanere al lavoro, anche se si sta bene, anche se si hanno davanti decenni da vivere bene.

Per una volta, però rallegriamoci guardando a questi dati: perlomeno ci è rimasta la salute. Pensate a che tragedia sarebbe se fossimo in fondo anche alla classifica anche in questo caso.

X