L’autonomia di Lombardia e Veneto è una grande bufala (e Salvini prende in giro il Nord come Bossi)

È da quando il Senatùr annunciò l'indipendenza della Padania nel 1996 che i leghisti promettono un'autonomia mai realizzata. Tra annunci, veti, referendum e lotte intestine ecco tutte le giravolte del Carroccio di questi tredici anni

GERARD JULIEN / AFP

Lo Stato italiano ha sistematicamente annullato ogni forma di autonomia e di autogoverno dei nostri Comuni, delle nostre Province e delle nostre Regioni, ha espropriato i popoli della Padania del loro potere costituente e si mostra sordo al grido di protesta che si alza sempre più alto”. Era il 5 settembre 1996, e a Venezia, l’allora leader della Lega Umberto Bossi dichiarava così l’indipendenza della Padania dall’Italia. Il 25 maggio del 1997 4.833.863 persone votarono per la Repubblica Federale, eleggendo qualche mese dopo il loro primo, folkloristico mini Parlamento. Dieci governi e quattro referendum dopo, tra giravolte politiche e centinaia di promesse non mantenute, si è tornati alla casella di partenza. Sono dodici anni che la Lega, fa, disfa, promette, annuncia e poi ritratta l’unico tema per cui è veramente nato il partito da Umberto Bossi: l’autonomia dallo Stato centrale. Non è un caso che il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana abbia dato ieri un ultimatum: «Vogliamo l’autonomia prima delle elezioni europee o addio Governo. Di compromessi continui si muore».

Il timore dei governatori di Veneto e Lombardia è che ancora una volta i rappresentanti della Lega si facciano inebriare dai “palazzi romani” e annacquino anche la versione più light del federalismo. E hanno ragione. Basta ritornare al 1998, quando Umberto Bossi a dire ai suoi di votare contro la proposta presentata dall’onorevole Gianpiero Dozzo: un Veneto a Statuto speciale. Allora il motivo fu politico, esistevano forti divisioni tra la parte lombarda e veneta della Lega e il senatur stava preparando il terreno per una nuova alleanza con Silvio Berlusconi per un’alleanza alle elezioni regionali del 2000 e al governo l’anno successivo. Allora sì che si sarebbe realizzato il federalismo.

Il paradosso tutto italiano è: ha fatto di più il centrosinistra per l’autonomia di Lombardia e Veneto che la Lega in 9 anni di governo dal 2001 a oggi.

Non fu così. Il paradosso, al contrario, è tutto italiano: ha fatto di più il centrosinistra per l’autonomia di Lombardia e Veneto che la Lega in 9 anni di governo dal 2001 a oggi. Lo stesso Massimo D’Alema ha ammesso che fu proprio il suo governo a modificare l’articolo 117 della Costituzione per dare più autonomia alle regioni ed evitare la transumanza di voti della base operaia che iniziava ad abbandonare i Ds per votare “la costola della sinistra” (altra definizione dalemiana data alla Lega). Fu addirittura il governo Prodi a firmare un’intesa nell’ottobre 2017 con l’allora presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, che aveva presentato una proposta per chiedere l’autonomia in 12 settori tra cui le infrastrutture e il sistema bancario regionale. Pochi mesi dopo il governo Prodi cadde a pochi passi dall’accordo finale che avrebbe dovuto portare il testo in Parlamento. Nel 2008 vinse di nuovo il centrodestra ma non se ne fece più nulla. Perchè? Una ragione ha cercato di darla lo stesso Roberto Formigoni: Non volevano che il federalismo arrivasse in Lombardia portato da Formigoni. Il federalismo doveva essere una materia di loro sola proprietà.

Il rapporto in questi anni tra la Lega e l’autonomia si può spiegare con un mito, quello di Icaro. Il giovane, rinchiuso nel labirinto dell’isola di Creta fuggì grazie a delle ali incollate al suo corpo con la cera costruite dal padre Dedalo. Ma, avvicinatosi troppo al Sole, la cera si sciolse e lui annegò in mare. Ecco, la Lega ha fatto lo stesso, sacrificando l’autonomia in nome di un’utopia inseguita per decenni: il federalismo. Dal 2001 al 2006 e dal 2008 al 2011 in nove anni di governo, godendo in almeno un caso della maggioranza più ampia della storia repubblicana prima del governo Conte, nulla è stato fatto per dare più autonomia alle regioni del Nord.

Matteo Salvini aveva dichiarato in campagna elettorale: “Se guiderò il governo, con Luca (Zaia, ndr) non credo di impiegare più di tre minuti per concludere la trattativa”. Ma da quando è nato il governo gialloverde sono passati un po’ più di tre minuti.”

L’ironia della sorte è che questo sarebbe il momento più favorevole mai avuto dai sostenitori dell’autonomia: la Lega viaggia nei sondaggi oltre il 30% e il suo leader Matteo Salvini gode di un capitale di consenso così forte nell’opinione pubblica da poter fare (quasi) tutto. Senza contare che c’è un partner di coalizione, il Movimento Cinque Stelle, che ha costruito la sua fortuna politica anche sostenendo il no al referendum più centralista della storia, quello voluto da Matteo Renzi il 4 dicembre 2016. Se avesse vinto il sì molte delle prerogative previste dall’articolo 117 sarebbero tornate allo Stato, e allora sì bye bye autonomia. Oltre a questo allineamento dei pianeti, i governatori di Lombardia e Veneto hanno ottenuto pure un mandato popolare mai avuto prima: 5,5 milioni di persone hanno votato per l’autonomia delle due regioni nel referendum consultivo del 22 ottobre 2017.

Ormai è passato più di un anno e mezzo da quel voto e che cosa è stato fatto concretamente dal governo? Nulla. Eppure Matteo Salvini aveva dichiarato in campagna elettorale: Se guiderò il governo, con Luca (Zaia, ndr) non credo di impiegare più di tre minuti per concludere la trattativa”. Ma da quando è nato il governo gialloverde sono passati un po’ più di tre minuti. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha promesso di firmare il 15 febbraio un documento per dare l’autonomia almeno al Veneto ma bisognerà capire se l’accordo riguarderà tutte e 23 materie richieste da Zaia e soprattutto se saranno garantite risorse adeguate. Perché autonomia è una parola di plastica, può voler dire tutto o niente. Questa è la posta in palio: le tasse dei cittadini veneti rimarranno a disposizione del loro governatore, libero di spendere come gli pare e piace, o saranno ancora distribuite per coprire i bilanci delle altre regioni italiane in nome della sovranità nazionale? Oltre gli slogan, la lotta politica è tutta qui, e vale anche per i cittadini di Lombardia ed Emilia Romagna. La porta in faccia l’ha già chiusa il ministro per il Sud Barbara Lezzi, in un’interrogazione parlamentare: “Le richieste di autonomia che abbiamo previsto nel contratto non saranno uno strumento per favorire alcune regioni a discapito di altre. Il completamento dell’iter, garantisco, non comporterà un surplus fiscale trattenuto al Nord”. Gioco, partita, incontro. Senza questo l’autonomia è un accordo all’acqua di rose.

Siamo sicuri che il sovranista Salvini si possa permettere di forzare la mano alla vigilia delle elezioni europee con i 5 stelle che useranno il bazooka del reddito di cittadinanza come arma politica per stravincere nel Mezzogiorno? Il rischio è una versione annacquata dell’autonomia che non soddisfi nessuno. Salvini riuscirà ad accontentare l’elettorato leghista al Nord, già infastidito dall’indecisione sulla Tav e la fermezza sul reddito di cittadinanza, e affascinare ancora quello del sud nella retorica sovranista? O uno o l’altro, perché la coperta rischia di essere troppo corta.

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