Me ne vado, anzi no. Quando i politici si ritirano (ma solo per poter tornare)

Da Renzi a Di Battista, da Berlusconi alla Boschi fino a Beppe Grillo. I politici italiani hanno il vizio di non capire mai quando uscire di scena. E se lo fanno è quando sono costretti a uscire alla porta per clamorosi tonfi politici (Occhetto e Veltroni) o giudiziari (Fini e Formigoni)

All’inizio si candidano e promettono di rendere il mondo un posto migliore. Poi riescono ad attirare un forte consenso sulla loro persona, riuscendo a ricoprire cariche sempre più importanti. E alla fine, se sono fortunati, riescono anche a governare. Almeno per un po’. Ma quando si tratta di lasciare il potere o la scena ad altri protagonisti non sanno come e quando scomparire. Annunciano il ritiro dalla politica, dicono di voler stare di più con la famiglia, di godersi i nipoti, di voler tornare a fare il loro mestiere o di girare il mondo. Ma poi tornano sempre, in un modo o nell’altro. Perché quando si tratta di ritirarsi a vita privata non esiste destra o sinistra. Il vizio dei politici italiani è sempre lo stesso: fare un passo indietro solo per prendere la rincorsa e tornare di nuovo sulla scena politica. O se va male, sulla scena e basta.

Si contano sulle dita d’una mano i politici che si sono ritirati a vita privata per scelta e non per sconfitte elettorali o problemi giudiziari. Il nome della breve lista che più stupisce è quello di Alfano, definito per anni un uomo attaccato alla poltrona, capace di governare con il centrodestra, il centrosinistra e il Governo Monti per dieci anni servendo come ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri. Dopo due legislature e quattro governi, Alfano ha lasciato prima delle elezioni del 2018, quando il suo partito, Alternativa Popolare, era dato a percentuali da prefisso telefonico. Ora è tornato al suo vecchio lavoro di avvocato e collabora con uno studio legale senza fare dirette Facebook o lanci di agenzia. Il paradosso tutto italiano è che il politico definito più opportunista e incompetente della storia della Repubblica è forse è l’unico che ha capito la sottile arte del ritirarsi in tempo.​

Sembrava aver capito bene la lezione, l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, che il 30 gennaio in un’intervista a Radio Capital ha detto con ironia: “Devo ringraziare Renzi, questi quattro anni che ho passato fuori dalla politica, dopo l’uscita da Palazzo Chigi, sono stati straordinari”. Proprio cinque anni fa lasciò la politica pochi giorni dopo essere stato sfiduciato dal suo partito (il Pd) e dal suo collega di partito, Matteo Renzi, che prese il suo posto. Ora Letta fa il professore di scienze politiche a Parigi ma il suo instabook, “Ho imparato”, presentato in lungo e in largo su tutti i media sembra il classico meccanismo del politico fuori dai giri pronto a tornare sulla scena con proposte politiche contenute in un libro. Un indizio l’ha dato lo stesso Letta pochi giorni fa in un’intervista a La Stampa: “Ai miei allievi dico: in politica entri e a un certo punto esci”. E poi magari torni? Incalza l’intervistatore “E poi magari torni”, ha risposto l’ex presidente del Consiglio, aprendo a un altro ritorno.

Di Battista ha promesso di dare una mano al Movimento, ma solo per la campagna elettorale delle europee, si dirà. Non è come tutti gli altri, poi tornerà a fare il suo vero lavoro, il giornalista. Insomma un ritiro dalle scene, ma a tempi alterni.

Chi disse a Letta “Stai sereno”, non se n’è mai andato. Matteo Renzi aveva promesso di lasciare la politica per sempre se avesse perso il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016: “Se perdo al referendum non mi vedrete più”. Renzi ha perso quel referendum e anche le elezioni politiche del 4 marzo, sempre alla guida del Partito democratico, ma la politica non l’ha ancora lasciata. Ora è senatore di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa come ama farsi chiamare. “Se mi hanno eletto di nuovo i fiorentini, cosa ci posso fare?” risponde a chi lo critica. Magari non ricandidarsi avrebbe aiutato a non subire l’accusa di incoerenza. Renzi aveva promesso anche di restare in silenzio per due anni, come gli avevano consigliato in molti di fare per ricostruirsi una verginità politica. Un po’ per noia, un po’ un po’ per mancanza di altri leader nel Partito democratico, Renzi continua a dire la sua in brevi video da sessanta secondi su Facebook. E dopo il documentario su Firenze trasmesso in tv è già pronto un nuovo libro. Non proprio la miglior definizione di silenzio assoluto. Anche la sua collega di partito Maria Elena Boschi disse: “Se vince il No al referndum lascio la politica”. Il no, come per Renzi, ha vinto. Ma l’ex ministro delle Riforme si è ricandidata e ha vinto nel collegio di Bolzano, molto lontano dalla sua Arezzo.

“Ho deciso di non ricandidarmi alle prossime elezioni, non lascerò il movimento ma lotterò fuori dalle istituzioni Quando ti nasce un figlio inizi a pensare moltissimo al tuo futuro, alle tue reali aspirazioni, ai tuoi sogni. E tra i miei sogni c’è la scrittura: continuare a combattere dal punto di vista politico anche attraverso la controinformazione e la scrittura”. La promessa dell’ex deputato del Movimento 5 stelle Alessandro Di Battista annunciata prima di partire per il Centro America era il ritiro perfetto. All’apice del consenso tra gli elettori del Movimento, una legislatura vissuta da protagonista, un gesto inusuale per la politica italiana: lasciare il Parlamento per fare politica tra la gente, scrivendo articoli e facendo viaggi. Negli ultimi giorni però l’abbiamo visto dappertutto: in macchina con Luigi Di Maio diretto all’europarlamento di Strasburgo o in televisione ospite a Che tempo che fa, Porta a Porta e Pomeriggio 5. Ma come? Non doveva lasciare la politica del sangue e merda per “partire e andare in alcuni luoghi del mondo per raccogliere idee, esperienze, proposte di politica innovativa? Il viaggio è durato così poco? Forse per lasciare la poltrona intendeva solo quella da deputato, perché in quella di ospite televisivo sembra a suo agio. Di Battista ha promesso di dare una mano al Movimento, ma solo per la campagna elettorale delle europee, si dirà. Non è come tutti gli altri, poi tornerà a fare il suo vero lavoro, il giornalista. Insomma un ritiro dalle scene, ma a tempi alterni. Di Battista ha già scelto la prossima meta: l’India, la settima nazione al mondo per estensione. Ci vorrà molto tempo per percorrerla ma la sensazione è che tornerà presto dal suo viaggio. Forse per le prossime elezioni, magari nazionali. Da mesi Beppe Grillo ha fatto un passo di lato, lasciando il comando a Luigi Di Maio, forse troppo tardi rispetto alle sue promesse. Pochi mesi prima delle elezioni europee 2014 il fondatore del Movimento 5 stelle disse: ”O vinciamo, o stavolta davvero me ne vado a casa. E non scherzo”. In quelle elezioni il M5S presse la metà dei voti del Partito democratico (21,2% contro 40,8%). Per digerire la sconfitta Grillo prese un Maloox, ma rimase per anni a capo del Movimento.

La storia italiana ci insegna che ci sono solo due modi per liberarsi dai leader che non vogliono lasciare la poltrona: il tonfo politico o una causa giudiziaria.

Prima di Renzi, Di Battista e Grillo c’è stato e c’è ancora il re dei grandi ritorni: Silvio Berlusconi. Già nel 1995 lo davano morto politicamente dopo l’esperienza disastrosa del suo primo governo, durato solo un anno. Dopo cinque discese in campo, Berlusconi ha annunciato che si ricandiderà di nuovo, questa volta per le elezioni europee. Eppure nel 2005 durante il forum Ambrosetti di Cernobbio disse: “Se mi voteranno mi sacrificherò ancora, se mi manderanno a Tahiti su una barca a godermi il sole ringrazierò chi mi ha assolto dall’essere troppo responsabile”. Le elezioni le vinse Prodi pochi mesi dopo, e forse Berlusconi è andato a Tahiti ma non ha lasciato la politica, né la presidenza di Forza Italia. Anche nel 2017 il Cavaliere aveva promesso:“Se gli italiani non mi daranno la maggioranza lascio la politica” Gli italiani non l’hanno fatto, ma lui è rimasto lì. Tutte le volte per lo stesso motivo: combattere i comunisti, anche se il muro di Berlino è crollato nel 1989.

La storia italiana ci insegna che ci sono solo due modi per liberarsi dai leader che non vogliono lasciare la poltrona: il tonfo politico o una causa giudiziaria. Accadde così ad Achille Occhetto, il leader che guidò gli eredi del Pci nelle elezioni del 1994. La sua “gioiosa macchina da guerra” si schiantò contro il Polo del buon governo guidato da Silvio Berlusconi e finì nel dimenticatoio. Quattordici anni dopo toccò la stessa sorte a Walter Veltroni a capo del neonato Partito Democratico. Disse: “quando finirò la politica andrò in Africa”. Dopo la sconfitta alle elezioni del 2008 contro Berlusconi (sì sempre lui) ha lasciato la politica per scrivere libri e girare documentari, anche se nessuno l’ha visto entrare nel Continente nero.

L’altro antidoto è far naufragare una carriera politico con un bel processo. Accadde così a Bettino Craxi, ex presidente del Consiglio e leader del Partito socialista italiano, costretto a rifugiarsi ad Hammamet, in Tunisia, dopo lo scandalo di Tangentopoli. Sempre una causa giudiziaria ha fatto fuori l’unico politico considerato in grado di ereditare il centrodestra berlusconiano: Gianfranco Fini. L’ex presidente della Camera rimase invischiato in un processo sul riciclaggio per di un appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità da una contessa al suo partito Alleanza Nazionale e poi venduta a poco nel 2008 a suo cognato. Il processo deve ancora finire, la sua carriera politica lo è già da tempo. I processi hanno tolto dalla scena politici in rampa di lancio nazionale come Roberto Formigoni o alll’ultimo atto come nel caso di Umberto Bossi. Il senatur è ancora in Parlamento ma dopo il processo sui diamanti falsi è sparito dal radar dei media.

Il paradosso tutto italiano è che il politico definito più opportunista e incompetente della storia della Repubblica, Angelino Alfano, è forse è l’unico che ha capito la sottile arte del ritirarsi in tempo.

Non che i politici della prima Repubblica fossero diversi. Un esempio su tutti Amintore Fanfani, leader sempreverde della Democrazia Cristiana. Indro Montanelli lo soprannominò con cattiveria “rieccolo” per la capacità con cui riusciva a riapparire con incarichi importanti nel mondo politico, spesso a capo di un governo breve, che fosse balneare o di fine legislatura e “Misirizzi” per la sua prontezza nel rialzarsi dopo qualsiasi sconfitta. Per trovare un politico della Repubblica capace di capire quando lasciare il potere bisogna andare indietro fino a quella dell’antica Roma. Nel V secolo a.C, in un momento di caos politico e militare, Lucio Quinzio Cincinnato fu eletto dittatore con pieni poteri. Nessuno aveva il potere di farlo decadere. Ma dopo aver condotto l’esercito alla vittoria contro il nemico, dopo solo sedici giorni si dimise e tornò ad arare il suo campo. Al tempo non c’erano ancora le dirette Facebook. Chiariamo una cosa: è giusto voler sfruttare anche economicamente ciò che si è appreso nelle stanze del potere o gestendo la cosa pubblica, magari insegnando, scrivendo libri o facendo conferenze in giro per il mondo. Ma si può farlo privatamente, senza per forza farsi notare.

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