La prima locandina del Movimento Cinque Stelle sul reddito di cittadinanza rivela fino a che punto povertà e diseguaglianza sono diventate impresentabili in Italia, tanto che pure i loro “campioni” sentono il bisogno di edulcorarne l’immagine, di renderla socialmente accettabile per chi povero non è e dovrà – con le sue tasse – contribuire ad aiutare i meno fortunati.
Nella locandina ci sono un lui e una lei che vengono presentati come “laureati e sposati”: vivono in un appartamento in affitto e grazie al reddito di cittadinanza avranno “fino a 980 euro al mese”. Sono due trentenni che si abbracciano, molto carini, sorridenti, ben vestiti e ben pettinati (la foto è stata presa da uno stock già utilizzato per la pubblicità di un servizio dentistico). Non hanno nulla a che vedere con l’immagine dei poveri che vediamo nelle periferie italiane ma nemmeno con quella che ci consegnano le statistiche: oggi un povero su due è un minore o un giovane con un bassissimo tasso di scolarizzazione; oltre i due terzi delle persone assistite dalla Caritas sono arrivati al massimo alla licenza media; oltre il 60 per cento ha figli a carico. Tra gli adulti, il 25 per cento appartiene alla classe anagrafica tra i 55 e i 64 anni. Le donne sole con figli (dati Sole 24ore) sono un numero enorme: centomila di loro vivono in condizione di povertà assoluta.
La povertà è ignorante, spesso antiestetica, solitaria, vive in brutti posti, e tuttavia mostrarla al naturale fa paura e c’è da chiedersene il motivo. L’italiano medio si ribellerebbe all’idea di versare un sussidio a una madre single tatuata e coi capelli rosso fiamma tipo Paola Cortellesi nel film “Come un gatto in tangenziale”? O storcerebbe il naso davanti alle sue sorelle obese e ladre? Sì, anche loro prenderanno o potrebbero prendere il reddito di cittadinanza, se mai riusciranno a completare il necessario percorso burocratico. Anzi, quel reddito è stato fatto per loro. I giovani laureati sposati e ben vestiti ci saranno pure, ma rappresenteranno senza dubbio una minoranza, un eccezione (e se non sarà così, significherà che il reddito ha fallito il suo obiettivo).
E tuttavia questo tipo di poveri fa paura, dare soldi a loro sembra buttarli dalla finestra. L’ultima polemica riguarda i senza fissa dimora: per giorni il governo ha temporeggiato sull’inclusione dei clochard nella misura, poi Luigi Di Maio, rispondendo a un’interrogazione ha confermato che sì, ci saranno anche loro. E perché non avrebbero dovuto esserci? Quale condizione di povertà è più estrema della mancanza di una casa? Allo stesso modo una certa opinione pubblica borghese e teoricamente progressista (con ampio spazio sui principali giornali) si esercita da tempo sul tema dei furbetti dell’Isee, dimenticando che in Italia quel tipo di furbizia è connaturato alla povertà fin dai tempi di Sciuscià e di Ladri di Biciclette: ne abbiamo viste di ben peggiori – furberie milionarie, enormi catastrofiche – agire in questi anni senza battere ciglio.
Tutto questo ci dice fino a che punto la povertà e la diseguaglianza siano diventate socialmente vergognose – una colpa più che una condizione – per la destra come per la sinistra, e forse anche per il Movimento Cinque Stelle, che se ne fa paladino ma poi deve nasconderla dietro fotografie patinate. Non è solo una questione estetica o semantica
Tutto questo ci dice fino a che punto la povertà e la diseguaglianza siano diventate socialmente vergognose – una colpa più che una condizione – per la destra come per la sinistra, e forse anche per il Movimento Cinque Stelle, che se ne fa paladino ma poi deve nasconderla dietro fotografie patinate. Non è solo una questione estetica o semantica. In questa rappresentazione al miele della categoria dei poveri si dimentica quello che probabilmente sarà il vero inciampo del reddito di cittadinanza, così come lo è stato nelle precedenti iniziative e bonus destinati ai ceti deboli: l’incapacità di gestire processi amministrativi complicati, la mancanza degli strumenti culturali minimi che servono per capire una legge, compilare con correttezza un questionario, produrre documenti in modo corretto.
Il Reddito di Inclusione aveva una platea teorica di 500mila famiglie, un milione e 800mila italiani in tutto: nel primo trimestre le domande furono poco più di 110mila, la maggioranza degli interessati non aveva nemmeno capito di averne diritto o non fu in grado di affrontare la pratica. Il precedente Sia, Sostegno all’Inclusione Attiva, in molte città non riuscì nemmeno a esaurire gli stanziamenti disponibili. I poveri non sono tutti laureati. Ne’ dotati di consulenti, commercialisti, avvocati, che gli spieghino cosa fare. Sono persone perse in una società sempre più complessa: se davvero li si vuole aiutare, bisognerebbe cominciare con l’averne una corretta rappresentazione.