L’hanno definita una dilettante, un’incoerente, un’indecisa, una leader incapace di gestire il negoziato per uscire dall’Unione europea e chiusa nella morsa politica tra chi vuole una hard e una soft Brexit. E forse hanno ragione. Ma la premier del Regno Unito, Theresa May, non è mai stata così vicina al suo personale trionfo, o meglio non tonfo, politico. Ovvero portare a casa la migliore delle alternative sul tavolo: l’accordo firmato con l’Unione europea lo scorso 25 novembre. Per realizzare il suo obiettivo da qualche giorno sta adottando una strategia rischiosa, ma forse l’unica percorribile: assecondare chi nel suo partito vuole rinegoziare un nuovo patto, evitare qualsiasi procrastinazione, farsi dire di no da Bruxelles e dimostrare al Parlamento che il suo è l’unico accordo possibile per evitare il no deal.
Il primo passo Theresa May l’ha fatto ieri, promettendo alla Camera dei Comuni che negozierà garanzie “vincolanti” per smantellare il meccanismo del backstop sul confine con l’Irlanda (qui una spiegazione approfondita per capire di cosa stiamo parlando). L’ha fatto votando pubblicamente a favore dell’emendamento del deputato euroscettico Graham Brady che impegna la premier a rinegoziare un “piano B” con Bruxelles che contenga soluzioni alternative da votare entro il 13 febbraio, sempre alla Camera dei Comuni. Un provvedimento presentato ufficialmente per dare al governo le linee guida sul secondo negoziato, informalmente per ricompattare l’ala più estrema del partito conservatore e gli alleati di governo del Dup, il partito unionista nordirlandese. L’operazione è riuscita (317 sì e 301 no), il partito si è ricompattato su una posizione comune ma di fatto May ha sconfessato quanto professato e difeso finora.
Il secondo passo è stata la bocciatura, sempre ieri, dell’emendamento presentato dalla deputata dei Labour, Yvette Cooper, per imporre un rinvio della Brexit in caso lo stallo politico fosse proseguito fino al 26 febbraio. I laburisti sono da sempre contrari all’ipotesi di No deal per evitare di perdere l’accesso senza tariffe e dazi al mercato comune europeo, una platea di 500 milioni di persone. Tradotto: senza un accordo tornerebbero dazi e controlli sul 70% dell’export (50% sono esportazioni direttamente con l’Ue, il 20% frutto dell’accordo con Paesi che hanno negoziato trattati con Bruxelles), come ha spiegato Caro Altomonte, economista della Bocconi. Quindi per ora una cosa è certa: il 29 marzo ci sarà la Brexit. Bisognerà ancora capire se con o senza accordo.
O Theresa May è la più dilettantesca e incoerente leader della storia britannica o ha un piano. Quale? Far sbattere i brexiters più accaniti e ai suoi alleati nordirlandesi contro il muro della realtà. Mostrare a loro che non esiste un accordo migliore e che l’Unione europea rifiuterà qualsiasi ulteriore negoziato. E lo farà anche a costo di fare una figuraccia davanti al mondo.
Ma perché May ha appoggiato ieri il voto del Parlamento contro il suo piano negoziato per due anni con Bruxelles? Perché ha liquidato in pochi giorni lo stesso testo che aveva difeso il 16 gennaio pregando la Camera dei Comuni di approvarlo per evitare lo spauracchio del no deal? E soprattutto perché ha votato contro l’unico emendamento che avrebbe dato più tempo al governo per gestire lo stallo? Delle due l’una: o Theresa May è la più dilettantesca e incoerente leader della storia britannica o ha un piano. Quale? Far sbattere i brexiters più accaniti e ai suoi alleati nordirlandesi contro il muro della realtà. Mostrare a loro che non esiste un accordo migliore e che l’Unione europea rifiuterà qualsiasi ulteriore negoziato. E lo farà anche a costo di fare una figuraccia davanti al mondo quando riceverà il no di Bruxelles. Una più o una meno che differenza può fare?
Dalla sua parte, la premier ha la certezza che l’opinione dei 27 Paesi Ue non cambierà e ne ha avuto la conferma subito dopo il voto di ieri. Il primo a parlare è stato il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron che ha detto: “L’accordo raggiunto con il Regno Unito è il migliore possibile, non sarà rinegoziabile”. Lo stesso concetto lo ha ribadito il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk: “L’accordo raggiunto resta il migliore e unico modo per assicurare una uscita ordinata della Gran Bretagna dall’Ue. Il backstop è parte di quell’accordo, e quell’accordo non è aperto a nuovi negoziati”. L’idea dei 27 Stati Ue è sempre stata precisa: rimanere uniti anche per non danneggiare gli interessi dell’Irlanda. L’aveva già chiarito il 26 gennaio il vice presidente della Commissione europea Frans Timmermans: “Vorrei essere estremamente chiaro: non getteremo l’Irlanda sotto un bus, il backstop è un elemento essenziale per mostrare all’Irlanda e al resto dell’Europa che siamo uniti.”
Che sia il giorno della Marmotta, House of Cards o un altro film, la sensazione è che questo sceneggiato, o meglio sceneggiata, stia durando troppo e abbia già annoiato tutti.
Forte di questa convinzione fino a ieri May aveva ripetuto che l’unica Brexit possibile era quella contenuta nelle 585 pagine di accordo firmate con l’Ue. Il suo atteggiamento aveva fatto arrabbiare il leader dell’opposizione, il laburista Jeremy Corbyn, che più volte ha rifiutato di sedersi al tavolo con chi, come la premier, sembra vivere nel film “Il giorno della Marmotta”, in cui il protagonista Bill Murray si sveglia ogni mattina ed è costretto a rivivere lo stesso giorno. Il punto è che la May sa di recitare in un altro film destinato a pochi spettatori, i più attenti a capire certi segnali politici. E la trama assomiglia a quella di House of Cards. Ovvero fingere di essere ostaggio della volontà politica dell’ala più conservatrice del suo partito e del Dup per poter poi offrire una soluzione concreta quando le lancette si avvicineranno sempre più velocemente al 29 marzo e non si avranno alternative. Solo così si spiegherebbe la retromarcia improvvisa sul backstop, difeso per mesi come un principio non negoziabile.
A meno di cataclismi politici, quasi tutti in Europa sanno che presto il Regno Unito non farà più parte dell’Unione europea. Le rispettive opinioni pubbliche hanno già digerito da tempo l’idea. Nel continente non vedono l’ora di occuparsi di altro e concentrarsi su problemi più importanti, tra cui le elezioni europee. Gli inglesi invece vogliono che finisca al più presto questo circo mediatico e politico per capire il prima possibile se il Regno Unito sarà il centro di un nuovo e glorioso Commonwealth o un’isoletta povera ed emarginata che un tempo dominava il mondo. Che sia il giorno della Marmotta, House of Cards o un altro film, la sensazione è che questo sceneggiato, o meglio sceneggiata, stia durando troppo e abbia già annoiato tutti.