Il caso DiciottiUn governo in ostaggio: ormai Conte, Di Maio e Di Battista prendono ordini da Matteo Salvini

Nelle mani del Capitano: i CInque Stelle sono arrivati a tradire loro stessi e ad assumersi responsabilità non loro pur di salvare Salvini. Ora avete capito chi è il sovrano assoluto dei gialloverdi, vero?

Fermi tutti! Salvini ha preso nuovi ostaggi. Tranquilli, sono di carnagione chiara, parlano (più o meno bene) l’italiano, sembrano in buona forma fisica, nessun segno di malnutrizione o di evidenti violenze subite, sono tutt’altro che indigenti e soprattutto hanno, proprio qui in Italia, un comodo domicilio che li aspetta, sulle soffici poltrone del Governo Italiano. Eppure sono in ostaggio del ministro dell’inferno che ancora una volta, come fanno i bambini quando stringono fortissimo gli occhi illudendosi che la realtà non esista, ha cambiato idea scordandosi, al solito, di avvisare tutti gli altri. Il suo motto è “fate quello che dico io ma non fate come me!” E i poveri ostaggi, che dalle prime informazioni sarebbero Luigi Di Maio con tutta la sua ciurma, un abbronzatissimo Alessandro Dibattista e un elegantissimo Giuseppe Conte, attendono terrorizzati sul limite della banchina per sapere se possono buttarsi, se devono buttarsi, se devono fingere di buttarsi ma rimanere asciutti, se devono raccontare che il Capitano si sia buttato oppure se devono chiudere i porti, mica per davvero, come al solito, inventandosi un tweet. Oppure mal che vada se l’ordine è quello di buttarla in caciara e di trovare qualche cuoco o pornostar su cui buttare un po’ di fango per sfamare i seguaci.

Senza un’altra nave all’orizzonte prede in ostaggio i membri del suo governo (alleati quando gli torna comodo e fastidioso fardello quando invece indossa i panni del super eroe) e gli dice che ora devono aiutarlo. Come? Non si è è capito, ancora. Sicuramente devono rimangiarsi quello che hanno detto per anni sull’immunità parlamentare

Sembra tutto molto epico, è vero, ma in realtà è l’imbarazzante atteggiamento del Salvini bifronte che nel giro di poche ore è passato dal desiderio incontrollabile di farsi processare per ergersi a martire in previsione delle prossime europee al diventare un cucciolo coniglietto che ora chiede aiuto agli amici per non finire nelle grinfie di quella temibile macchinazione chiamata giustizia. Gli devono avere spiegato che in un’aula di Tribunale non vale mangiare un hot dog con una birra ghiacciata per stemperare l’aria e la frase “gli italiani sono con me!”, conta poco meno di un testimone a favore che non era presente ma ha sentito dire, de relato, ed è pure il fratello dell’imputato.

E allora che fa Salvini? Se la fa sotto. E come reagisce? Anche senza un’altra nave all’orizzonte prede in ostaggio i membri del suo governo (alleati quando gli torna comodo e fastidioso fardello quando invece indossa i panni del super eroe) e gli dice che ora devono aiutarlo. Come? Non si è è capito, ancora. Sicuramente devono rimangiarsi quello che hanno detto per anni sull’immunità parlamentare (sai che fatica, per i 5 Stelle, affermare il contrario di quanto già detto, sono diventati in brevissimo tempo dei professionisti) e il Capitano ha provato a dire che la decisione sul mancato sbarco della nave Diciotti (che tra l’altro batte bandiera italiana, quindi Toninelli non può nemmeno litigare con l’Olanda) l’avevano decisa tutti insieme. Tutti insieme. Tutto il governo. Ed è riuscito a pronunciare la frase completa senza nemmeno esplodere in una fragorosa risata delle sue, quelle con le orecchiette e il ragù incastrato tra i denti. Giuseppe Conte l’ha preso subito sul serio: ha detto che è colpa sua, roba da film. Non gli ha creduto nessuno . Ma come al solito. Nemmeno il peggiore tribunale di Caracas crederebbe a Conte come suggeritore occulto di Salvini, no?

Poi è arrivato Di Battistia: urlava “Processatelo! Processatelo!” E poi d’improvviso ci ha annunciato che è anche colpa sua. Sulle confessioni contrite ormai è diventato un professionista (vedere il lavoratore in nero assunto dal padre) ma in questo caso ha dato il meglio di se stesso. Era così contrito che gocciolava affetto.
Poi c’è Di Maio. Ma vi do una notizia: Di Maio non esiste più. Di Maio è un algoritmo che è riuscito a liberarsi da tutti i condizionamenti della credibilità, degli affetti personali, dell’autorevolezza. Di Maio è il cameriere di Salvini solo che al posto dei guanti bianchi gli hanno dato la divisa da ministro per servire il the. Beato lui.

Lì, sul pontile, rimane Salvini, il despota trasformato in coniglio dalla realtà, tutto intento a rimanere credibile. Ma per chi?
Nemmeno il peggior sceneggiatore avrebbe potuto scrivere una storia così malinconica e triste.
Buona fortuna. A lui. Agli ostaggi. A noi.

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