Nuovi conflittiUsa contro Cina: qualcuno ci salvi dalla nuova guerra fredda

Il calo dell’economia cinese di questi mesi ha ragioni di debolezza interna, ma è anche il segnale forte che la benevolenza americana verso il Paese di mezzo è finita. In molti, dalle parti di Washington, hanno bisogno di un nuovo nemico

L’incertezza sull’andamento congiunturale aumenta ed i mercati continuano a viaggiare sulle montagne russe create dall’alternarsi di notizie positive e negative. Sembra oramai a tutti apparente che l’incertezza si sprigioni da tre fonti, tra loro collegate: le prospettive di crescita delle due maggiori economie mondiali, Usa e Cina, e le loro relazioni, commerciali e non. Quando accade altrove ne è solo conseguenza o, comunque, gioca un ruolo secondario nell’evoluzione di breve periodo.

Per essere chiari: senza dubbio alcuno la ridicola legge di bilancio che questo governo ha appena finito di approvare farà danno all’economia italiana negli anni a venire, aumentando la pressione fiscale su chi lavora e trasferendo risorse ad improduttivi ed evasori. Nondimeno – alla faccia del circo mediatico che continua a blaterare sui moltiplicatori di questo e di quello o sui miracolosi giochi delle tre carte compiuti con il reddito di cittadinanza che crea nuovi disoccupati per aumentare, sulla carta, il pil potenziale – la legge di bilancio avrà un effetto del tutto trascurabile su quanto avverrà, nei prossimi dodici mesi, nelle 10mila aziende italiane che reggono il destino economico del paese.

Questo per la semplice ragione che, non esistendo alcun motore interno della crescita ed avendo il sistema economico italiano oramai un solo comparto dinamico (export ed indotto) la dinamica del Pil diventa quella del commercio internazionale. Senza quest’ultimo il reddito degli italiani stagnerebbe, sfarinandosi lentamente a seguito del declino demografico, tecnologico e professionale della popolazione. Curioso paradosso: nel paese dove disprezzare ed odiare “i foresti” è diventato sport nazionale, quel poco che si muove dipende dagli stranieri. Da quelli disposti a comprare i nostri prodotti e da quelli che son disposti a venire nel paese per produrli.

Settori ampi del sistema economico-politico USA hanno bisogno di un nuovo grande nemico con cui iniziare una nuova guerra fredda, se non immediatamente sul piano militare, certamente su quello economico e tecnologico

Fra questi domina la Cina, della cui gigantesca crescita oramai più che trentennale abbiamo approfittato poco e male direttamente ma di cui abbiamo goduto i frutti indirettamente attraverso i cattivi tedeschi, olandesi, francesi e financo americani che sono andati sino laggiù prima ad investire e poi a vendere. Cosa sta succedendo in Cina? Tante cose, alcune delle quali ancora poco chiare e altre invece ovvie e previste. Elenchiamole, telegraficamente.

La Cina è oggi due paesi e mezzo: quello sviluppato delle città della sua parte orientale dove i livelli di reddito sono quasi italiani, quello delle campagne ancora economicamente arretrate ed il “mezzo paese” (occulto ma con una popolazione doppia dell’italiana) delle minoranze etniche che vivono ai bordi dell’impero. Il primo paese sta rallentando pesantemente per svariate ragioni. Gli altri due contano nell’economia globale solo attraverso l’operare del primo, che è quello con cui interagiamo. Nell’altro, al massimo, andiamo a fare i turisti di lusso.
Inquinamento: le drastiche misure prese per combatterlo hanno generato un calo robusto e permanente nella domanda di macchine, nelle costruzioni ed anche negli investimenti industriali nelle aree congestionate.
Capitale umano: gli investimenti fatti in questi decenni sono stati giganteschi ma non bastano. Il capitale umano cinese ai livelli alti della filiera tecnologica ed accademica è ancora troppo poco e troppo debole per soddisfare la domanda potenziale. La Cina ha ancora bisogno di più laureati e di laureati migliori, idem per i professori: troppo pochi e di qualità mediocre appena ci si scosta dalle grandi università di Pechino, Shanghai, Wuhan ed Hong Kong.

Questa strozzatura si sta associando a quella demografica: la follia della one-child-policy, eliminata nel 2016, genera un’onda lunga che colpisce ora. L’effetto è forse meno drammatico di quanto si pensi perché il primo paese ha due grandi serbatoi di forza lavoro: le campagne ed il sistema pensionistico (in Cina si va in pensione molto presto, tra i 55 ed i 60) ma utilizzare questi due serbatoio ha un costo politico ed ecologico. Ergo, si può fare solo lentamente. Il serbatoio delle donne in Cina non esiste, le donne in Cina lavorano da tempo. L’indebitamento del sistema bancario (e non solo) è oramai sostanziale e pericoloso. Mentre dubito che, visto l’approccio di Xi Jinping, vi possano essere drammatici crolli (a meno che il Partito Comunista Cinese non decida d’usarne uno per ragioni pedagogiche) non vi è dubbio che il governo finirà per doverci mettere sostanziali risorse. Qui regna l’incertezza più totale visto che le posizioni sul come farlo (creare Yuan o vendere debito estero, USA in particolare?) sono diverse ed il dibattito sembra ancora lontano dal concludersi. Ed infine l’ovvio e naturale effetto dei “rendimenti decrescenti”, ovvero dell’esaurirsi degli investimenti imitativi che usano massicciamente la forza lavoro produttiva ma a basso costo. Se la prima Cina vuole continuare a crescere deve ora essere capace d’investire in prodotti e tecniche non ovvie e di pagare il lavoro qualificato adeguatamente. O deve scegliere di far crescere l’interno, ma ragioni sia politiche che ecologiche suggeriscono di farlo molto lentamente.

Questo il quadro nel quale s’inseriscono i conflitti commerciali con l’amministrazione Trump. Fosse per le miserabili tariffe imposte da quest’ultimo e per le micro-reazioni di parte cinese, non ci sarebbe di che preoccuparsi, alla fine sono poca cosa. Il problema vero, che tutti hanno compreso, è quel che queste tariffe e, soprattutto, le dichiarazioni che le accompagnano e l’andamento delle trattative segnalano. Cosa segnalano? Che, da un lato, il trattamento “paternalistico” ricevuto in questi due decenni dalla Cina nell’ambito WTO è giunto al capolinea: l’economia cinese deve sapersi adeguare al fatto che imitare e vendere a basso prezzo non è più un’opzione usabile. Questo ci sta e, diciamolo, sia il governo che l’imprendioria cinese di punta questo l’hanno capito da tempo. Dall’altro lato il messaggio è molto più pesante: settori ampi del sistema economico-politico USA hanno bisogno di un nuovo grande nemico con cui iniziare una nuova guerra fredda, se non immediatamente sul piano militare, certamente su quello economico e tecnologico. Follia? Non credo proprio, ma ne riparliamo la prossima volta.

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