C’era una volta lo schema a tre punte di Matteo Renzi. Prevedeva l’impiego di Paolo Gentiloni, il riflessivo, Marco Minniti, l’uomo forte in materia di sicurezza e legalità, e Graziano Delrio, il simbolo dell’impegno verso il sociale. Ovviamente tutti dietro la prima punta, cioè lui, Matteo da Rignano. Ad un anno di distanza da questa sfortunata teorizzazione renziana, il quadro politico è stato sconvolto dalle elezioni del 4 marzo, dalla formazione del governo populista e da tutto ciò che ne è conseguito.
Oggi, alla vigilia di una stagione politica che si preannuncia di portata epocale, un altro tridente si affaccia nel campo dem e punta alla riconquista di un terreno che il renzismo ha bruciato troppo in fretta. I tre nuovi punteros sono Nicola Zingaretti, Beppe Sala e Carlo Calenda. E sono in molti a sostenere che le mosse che i tre hanno messo in campo nelle ultime settimane siano frutto di un disegno condiviso, in cui poco è stato lasciato al caso.
La prima cosa da sottolineare è che stiamo parlando di tre personalità molto diverse tra loro, che però, a differenza di chi li ha preceduti nei ruoli chiave del partito e del centrosinistra, hanno capito che questa può essere una forza e non necessariamente un limite. «D’altronde – ci spiega un uomo vicino all’inner circle del governatore del Lazio – Lega e Cinque Stelle cosa stanno facendo? Stanno parlando sia come alleati, sia al loro interno, a una molteplicità di mondi, con un messaggio tutt’altro che identitario. Sembra una contraddizione ma non lo è. E l’errore del Pd negli ultimi anni è stato quello di voler essere il partito della nazione senza parlare alla nazione, ma solo ad un pezzo molto piccolo e minoritario di essa».
Di qui la necessità di presidiare più campi, per rivolgersi a più mondi. In questo senso, il tridente sembra creato apposta per spartirsi i ruoli, ognuno con le sue prerogative, le sue ambizioni e i suoi obiettivi.
Nicola Zingaretti, anche alla luce dei risultati resi noti sui risultati dei congressi nei circoli, sembra veleggiare con relativa tranquillità verso l’elezione a segretario del Pd. Certo, il rischio di non arrivare al 50 per cento dei voti, necessario per l’elezione diretta nei gazebo, c’è ancora, ma difficilmente i principali concorrenti Martina e Giachetti sovvertiranno un risultato che si preannuncia comunque abbastanza chiaro. Se verrà eletto, il presidente della Regione Lazio sarà il segretario che cercherà di ricomporre un legame “sentimentale” con ciò che rappresenta la sinistra in Italia, al di là delle nomenclature. Viene accusato di essere colui che vuole riportare l’apparato ex Ds al potere, ma chi lo conosce sa che il suo obiettivo è ben diverso. «Per interpretare Nicola, andatevi a leggere i nomi del mondo della cultura che hanno sottoscritto il suo manifesto e lo capirete», ci spiega un parlamentare del Lazio. Più Veltroni che D’Alema, insomma. Molto romano, ma pronto ad andare ben oltre le Mura Aureliane, con un occhio di riguardo al centrosud.
È stato lui il primo a sostenere, un po’ a sorpresa, che «il logo del Pd alle europee non è un dogma», raccogliendo peraltro apprezzamenti immediati. Tra questi, quello di Carlo Calenda, che ha già dato la sua disponibilità a correre alle elezioni di maggio e, nel giro di pochi giorni, ha lanciato il suo manifesto “Siamo europei”, anch’esso accolto con entusiasmo. Nella logica del tridente, se Zingaretti copre il lato sinistro, Calenda svaria su quello destro, con un profilo che parla in primis al mondo dell’impresa, dei professionisti, quella che una volta si definiva borghesia. Nella sua testa c’è prevalentemente una cosa: la battaglia per difendere l’Europa da chi la vuole distruggere.
Stiamo parlando di tre personalità molto diverse tra loro, che però, a differenza di chi li ha preceduti nei ruoli chiave del partito e del centrosinistra, hanno capito che questa può essere una forza e non necessariamente un limite
L’ultimo tassello è quello decisivo. E qui entra in gioco Beppe Sala, il cui attivismo politico, in ottica nazionale, è cresciuto esponenzialmente nelle ultime settimane. Il sindaco di Milano rappresenta il completamento del puzzle. Simbolo di una città che ce l’ha fatta, di una coalizione di centrosinistra che convive proficuamente, è il perno di un modello di civismo da esportare in tutto il Paese: pragmatico ma solidale, idealista il giusto, non particolarmente coinvolto nelle dinamiche interne al Pd, Sala avrebbe il compito di esportare il modello Milano, prima nel Nord (e infatti la sua lista debutterà alle regionali in Piemonte con Chiamparino) e poi nel resto d’Italia.
È attorno a questi tre nomi che si sta provando a costruire l’architrave di ciò che sarà del Pd dopo i delicatissimi passaggi del congresso e delle elezioni europee. A differenza di Renzi e dei renziani, hanno capito che se non si allarga davvero il campo, non c’è partita. E non è un caso, infatti, che i primi a storcere il naso e mettere paletti riguardo la creazione di un listone per le europee siano stati proprio gli uomini dell’ex segretario. Se il disegno di Zingaretti, Calenda e Sala dovesse andare in porto, per il “senatore semplice di Scandicci” i margini di manovra, anche in vista della formazione di un nuovo soggetto politico, sarebbe ridotti al lumicino.