C’era una volta il partito della Nazione e tutti lo volevano fare, convinti che la vecchia distinzione tra destra e sinistra non fosse più efficiente, che quello schema sopravvissuto al Novecento non contenesse più le simpatie e le antipatie degli italiani. C’era una volta l’idea che, dopo molti tentativi falliti della vecchia politica, il Partito della Nazione l’avesse costruito il Movimento Cinque Stelle, mettendo insieme rancori e speranze trasversali agli schieramenti. Ecco, scordatevelo. Il segnale principale che arriva dal voto abruzzese è l’avvio di una ricomposizione del vecchio bipolarismo. Gli elettori, dopo essersi fatti un giro insieme con i grillini, tornano alle loro case di provenienza. Il fenomeno è imponente a destra, più modesto a sinistra, ma è comunque uno dei principali dati di fatto che emergono dai risultati.
Secondo il Centro Italiano di Studi Elettorali della Luiss, a Pescara, su cento voti presi dalla Lega, 30 arrivano da elettori che undici mesi fa, alle Politiche, avevano votato Cinque Stelle. La percentuale sale al 50 per cento a L’Aquila. Il candidato del Pd Giovanni Legnini ne ha convogliato una quota minore ma comunque significativa, il 18 per cento a Pescara, mentre nel capoluogo abruzzese non è riuscito ad avere la stessa forza attrattiva ma ha riconquistato 19 elettori dall’area dell’astensione.
Tendenza o incidente di percorso del primo partito italiano? Forse è presto per dirlo. Al risultato hanno contribuito molti effetti collaterali, e se il M5S enfatizza quelli “tecnici” (la molteplicità di liste civiche create dai candidati avversari) esistono senz’altro anche cause politiche: non ultima la difficoltà, per una Regione che deve sanare le ferite del terremoto, di affidarsi a un mondo che a Roma non riesce a tappare le buche o raccogliere la spazzatura.
Ovunque alla vigilia del voto continentale prevale il vecchio schema di gioco diviso tra destra e sinistra. Entrambi gli schieramenti si sono radicalizzati, entrambi sono lontani dal moderatismo che li caratterizzava solo cinque anni fa, entrambi si sono dimenticati per strada il prefisso “centro-” in favore di un messaggi estremisti. Ma pur sempre quelli restano. La destra e la sinistra
E tuttavia mai come ora, guardando lo scenario europeo, l’esperienza italiana – una terza forza di che emerge oltre l’antico bipolarismo e conquista il potere – appare anomala. Ovunque alla vigilia del voto continentale prevale il vecchio schema di gioco diviso tra destra e sinistra. Entrambi gli schieramenti si sono radicalizzati, entrambi sono lontani dal moderatismo che li caratterizzava solo cinque anni fa, entrambi si sono dimenticati per strada il prefisso “centro-” in favore di un messaggi estremisti. Ma pur sempre quelli restano. La destra e la sinistra. E salvo imprevedibili exploit di un futuribile partito dei Gilet Gialli (peraltro quotato appena al 12 per cento), saranno loro i protagonisti della sfida.
Il laboratorio Cinque Stelle si scontra quindi contro una tendenza, contro un mood continentale, più che con gli errori della sua classe dirigente, che si è sbracciata per restare fedele al suo immaginario e alle sue promesse: dalla disperata corsa per approvare prima delle urne il reddito di cittadinanza al piglio garibaldino sulle concessioni autostrade, sulla Tav, sulla denuncia di ogni tipo di casta, da Bankitalia alla giuria di Sanremo. «Spostarsi a destra non paga», ha detto ieri la senatrice Elena Fattori nei primi commenti a caldo. In realtà l’equilibrio del M5S tra destra e sinistra è stato sostanzialmente conservato in questi mesi. “Cose di sinistra” e “cose di destra” si sono alternate come un metronomo nell’azione della squadra di governo grillina. Il problema è che il terzaforzismo sembra non pagare più, che l’idea di fare sintesi tra Maduro e Trump si è sfarinata, e peggio sarà quando i dati economici metteranno in discussione i fondamentali della manovra, dove la marcatura M5S è più evidente di quella della Lega.
Per gli altri, Centrodestra e Pd, il voto sembra aprire finalmente uno spiraglio. Potranno tornare a usare le loro competenze politiche anziché inseguire i grillini nel mondo avventuroso del nuovismo, del video provocatori, dei follower, della demolizione dei corpi intermedi, e ritrovare almeno in parte il senso politico del loro ruolo oltre la famelica ricerca di consenso che affligge i nostri partiti da anni. Perché il messaggio chiaro di queste elezioni è anche questo: il voto italiano è volatile, capriccioso, instabile. Puoi prendertelo con gli effetti speciali – è successo prima a Renzi e poi a Di Maio – ma per conservarlo serve molto altro.