Cervelli a scadenzaCnr, precari allo stremo: ecco il disastro della ricerca italiana

I ricercatori precari del Consiglio nazionale delle ricerche sono tornati a manifestare per chiedere di essere stabilizzati. L’ente ha i soldi a disposizione, ma prende tempo. E in tanti ora rischiano di tornare a casa, anche chi è stato richiamato dall’estero per fare ricerca in Italia

Giovanni, scadenza: maggio 2019. Francesca, scadenza: aprile 2019. Piero, scadenza: dicembre 2019. I ricercatori precari del Consiglio nazionale delle ricerche, Cnr, sono tornati a protestare a Roma con le date di scadenza dei contratti appese al collo. Alberto si è fatto stampare pure una maglietta: “Precario Cnr da sette anni, più dieci di università”. C’è chi è arrivato a dieci anni di assegni e progetti a tempo, chi a 12, chi a 15. Lo chiamano “precariato di Stato”. Molti di loro hanno ormai i capelli bianchi. Biologi, chimici, fisici, ingegneri da anni in balia di proroghe e rinnovi contrattuali, anche di 15 giorni, in quello che è il più grande ente di ricerca pubblico italiano. Chiedono una sola cosa: completare la stabilizzazione dei contratti prevista dalla legge Madia del 2017. Anche perché i soldi ci sono: quasi 75 milioni sono stati stanziati tra il governo Gentiloni e quello attuale, vincolati proprio per la stabilizzazione dei ricercatori Cnr, e altri 20 dovrebbe metterli l’ente. Finora hanno firmato i nuovi contratti solo in 1.350 ricercatori, ma altri 1000 mancano ancora all’appello.

Alla mobilitazione nel parlamentino del Cnr hanno partecipato sia gli stabilizzati sia quelli che ancora aspettano, riuniti ormai da tempo nella sigla Precari Uniti Cnr. Sono arrivati da tutta Italia, qualcuno anche con figli a seguito, per l’ennesima mobilitazione. E con il tempo che passa, scaduti i sei anni – come vuole la legge – gli assegni di ricerca non possono essere più rinnovati e molti di loro rischiano di restare a casa.

L’anno scorso il governo Gentiloni ha stanziato per il Cnr 40 milioni, obbligando l’ente di ricerca a cofinanziare con altri 20 milioni le stabilizzazioni. E il governo Conte ha aggiunto alla dote altri 34,5 milioni, vincolati con la stessa finalità. In totale ci sarebbero 94,5 milioni a disposizione, ma l’ente vorrebbe attingere i 20 milioni di cofinanziamento dai 34,5 stanziati dal governo attuale, riducendo così la somma a disposizione. E anche le stabilizzazioni.

Ci metto la faccia in progetti internazionali e non posso dire “basta” perché il Cnr non mi rinnova il contratto

La legge Madia stabilisce che i lavoratori pubblici con contratti a termine, con almeno tre anni di anzianità negli ultimi otto, possono essere stabilizzati automaticamente. Quelli che invece hanno contratti di collaborazione e assegni di ricerca devono passare attraverso concorsi riservati. Così il Cnr l’anno scorso ha stabilizzato poco più di mille dipendenti. E ha fatto una selezione (per titoli e colloqui) per i collaboratori, vinta da oltre 800 persone. Ma di questi, solo 100 sono stati assunti. Gli altri sono rimasti fuori, in un limbo che dice: idonei alla stabilizzazione ma ancora precari. Qualcuno li ha chiamati “precari sospesi”. L’ente di ricerca per ora ha fatto sapere che entro settembre ne assumerà altri 208. Ma molti contratti sono già “scaduti” o “in scadenza”, non più rinnovabili.

Senza contare i ricercatori assunti con chiamata diretta, molti dei quali cervelli eccellenti di ritorno in Italia, che ora rischiano di trovarsi per strada. «Sono colpevole di essere tornata in Italia dopo nove anni di ricerca all’estero», racconta una di loro. «Sono biologa marina, siciliana. Mi sono chiesta: “Perché devo fare ricerca nel Nord Est Atlantico e non nel Mediterraneo?”. Così sono rientrata, ho vinto un grant, ho portato i soldi all’ente e il Cnr ora mi tratta così. Scado ad aprile, e non sono previsti rinnovi». C’è chi ha coordinato progetti di ricerca europei da 5 milioni di euro e ora è senza contratto: «Ho creato un gruppo di ricerca e la situazione assurda è che ora molti dei ragazzi che ho selezionato sono stati stabilizzati, ma io no». Ma anche chi racconta che lavora da un anno, in attesa della stabilizzazione, con un contratto scaduto e senza stipendio: «Ci metto la faccia in progetti internazionali e non posso dire “basta” perché il Cnr non mi rinnova il contratto». E pure chi è stato costretto, dopo anni di lavoro, a tornare negli Stati Uniti: «Io voglio lavorare in Italia, perché devo andare all’estero?». Citano sigle contrattuali, commi, idoneità e cavilli burocratici che rivelano lo stato della ricerca nel più grande ente italiano. Con i ricercatori che trovano loro stessi i fondi per finanziarsi, portano soldi e progetti all’ente, senza sapere però se e per quanto tempo riusciranno poi a occuparsene.

Sono colpevole di essere tornata in Italia. Mi sono chiesta: “Perché devo fare ricerca nel Nord Est Atlantico e non nel Mediterraneo?”. Così sono rientrata, ho vinto un grant, ho portato i soldi all’ente e il Cnr ora mi tratta così. Scado ad aprile

Alla protesta nella sede nazionale del Cnr ha aderito anche qualche parlamentare del Movimento Cinque Stelle e di Liberi e Uguali. E il presidente del Cnr, Massimo Inguscio, si è presentato nell’aula poco prima della riunione del cda, provocando le reazioni accese dei rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil presenti e dei tanti ricercatori che hanno chiesto a gran voce: «Quando verremo stabilizzati?». Inguscio ha promesso che entro marzo metterà a punto una programmazione triennale di stabilizzazioni. «Lasciateci lavorare», ha ripetuto. Ma non c’è tempo. «Il mio contratto scade questo giovedì», gli ricorda qualcuno. Ogni ritardo è un ricercatore in meno, o un cervello costretto a spostarsi all’estero.

«Sono persone che vivono sulla loro pelle i dati dell’Istat appena usciti, che dicono che il 18,8% dei dottori di ricerca è fuggito all’estero», ricorda Sonia Ostrica, segretario generale della Uil Rua. «Il precariato è il sintomo dei problemi della ricerca italiana, non la causa. Gli enti di ricerca vivono tutti i problemi del resto della pubblica amministrazione, senza risorse e strumentazioni. L’unica scadenza che vorremmo vedere appesa al collo dei ricercatori? È quella della data in cui finiranno di essere precari».