Distese bianche inospitali, infinite e freddissime. Più o meno è ciò che viene in mente quando si pensa alla Siberia. E non è sbagliato, per carità, tranne che per un piccolo particolare: da qualche anno a questa parte, le distese inospitali non sono più bianche. Ma nere.
Succede nelle città di Prokopyevsk, di Kiselyovsk e di Leninsk-Kuznetskyin, nella regione del Kuzbass, nella Siberia occidentale, dove la neve è diventata scura e piena di sostanze tossiche. È uno degli effetti della produzione del carbone: la zona è piena di miniere e di depositi, estesi lungo una superficie di oltre 15mila chilometri quadrati. Secondo gli attivisti, la polvere dispersa dal vento si mescolerebbe con le particelle nell’aria, creando questa neve sfumata di nero. “C’è tantissima polvere di carbone nell’aria. E si vede solo quando nevica”, dice Vladimir Slivyak un attivista del gruppo ambientalista Ecodefense. Tutto sommato, si può dire che, visto il clima, si veda abbastanza spesso.
Ma il problema, oltre che l’ambiente, riguarda anche la salute dei circa 2,5 milioni di abitanti della regione. La neve porta con sé mercurio, piombo, nichel, cadmio, mercurio, antimonio e arsenico. E non è un caso che il tasso di tubercolosi dell’area è il doppio della media regionale, con il più alto numero di paralisi cerebrali di tutta la Russia.
Colpa della polvere di carbone? Probabile. Gli attivisti cercano di segnalarlo in tutti i modi, ma senza successo. Il governo non li ascolta, anzi: per nascondere il problema nel dicembre 2018, nella regione di Kemerovo, la neve era stata dipinta di bianco. Whitewashing nel più incredibile dei sensi.