Ci sono sketch che fanno sempre ridere. Questo, trovato su una tavoletta sumera custodita al British Museum e scritto in accadico, ha 1.600 anni e proviene dalla città di Ur, oggi in Iraq. Ebbene, si può dire che (con qualche aggiustatina) funzioni ancora. Riporta il dialogo, senza dubbio non autentico, tra il classico “cliente che la sa lunga” (c’erano anche allora) e un povero lavandaio, cui viene spiegato di continuo il modo migliore per fare il proprio lavoro. Alla fine il malcapitato non ce la fa più e sbotta.
In questo caso il cliente è un facoltoso signore della città che ha bisogno di lavare i vestiti. “Risali la corrente, vai appena fuori dalla città – ecco, adesso ti mostro io – questo è un buon posto per lavare i vestiti”, dice. E poi, non contento aggiunge: “Mi raccomando, asciugali con il vento dell’Est”. E ancora: “Mi raccomando, per stirarli usa questo specifico tipo di legno, no questo! E queste pietre, sì, queste!”.
La cosa interessante, almeno per gli studiosi di quei tempi antichi, è scoprire che i servizi di lavanderia, all’epoca, erano completi. Lavaggio, stiraggio, riparazioni varie, fino a restituirlo alla sua condizione originale (forma, taglia, cuciture, ricami e tessuto). L’abito del dialogo in questione, poi, era anche un’opera molto raffinata, con lavori di ricami complessi, tessiture intrecciate e frange varie.
“E per tutto questo ti do una misura di orzo”, conclude il cliente. “Ma neanche per sogno. Come ti permetti di parlarmi in questo modo? Nessuno potrebbe fare come dici tu. E visto che sei tanto esperto, adesso ti mostro io un posto dove si possono lavare i tuoi abiti. E te li lavi da solo”.
Insomma, il testo antico altro non era che una forma di esercizio per gli studenti: imparavano la scrittura di parole tecniche specifiche che, in futuro, sarebbero servite per stilare documenti legali, processuali, testi ufficiali. Per fortuna, le imparavano sotto forma di un dialogo comico. Almeno per qualche minuto, si facevano qualche risata.