Cultural StereotypeBernie Sanders è la sinistra del futuro (ed è un’ottima notizia)

L'ex sfidante di Hillary Clinton ha annunciato di voler correre di nuovo per la Casa Bianca nel 2020. Nel suo programma, lotta alle disuguaglianze sociali, un sistema di redistribuzione, istruzione e sanità alla portata di tutti. Rivoluzione? Sì, perché è la Sinistra che si ricorda come si fa

Mentre in Italia il Partito Democratico sta affrontando un congresso di cui nessuno sta parlando, in cui si stanno confrontando tre diverse idee di aggiustamento della rotta che non stanno accendendo alcun entusiasmo attorno a loro, negli Stati Uniti la faccenda della corsa alla Casa Bianca del 2020 sta invece subendo una fortissima e interessantissima accelerata. A parte la nostra patologica tendenza a vedere sempre più verde — o rossa, in questo caso — l’erba del vicino, bisogna mettersi l’anima in pace e rassegnarsi all’idea che se c’è un paese che sta dettando la linea alla sinistra di tutto il mondo, questi sono gli Stati Uniti. Il colpo del ko inferto dall’elezione di Donald Trump è stato assorbito, ed è stata superata la crisi che ne è seguita. Non solo una sconfitta politica, ma un cambio di paradigma capace di fare davvero la storia: uno di quei momenti simbolici in cui cambia il sistema di interpretazione del mondo in cui viviamo. I politici di sinistra americani hanno capito quello che da tempo già si sospettava, e cioè che le elezioni non si vincono più al centro, ma rafforzando un messaggio al tempo stesso identitario e capace di rafforzare la base valoriale del proprio elettorato. La politica contemporanea spaventa i moderati, e per la sinistra internazionale può essere una buona notizia.

Questa settimana Bernie Sanders ha annunciato di voler correre come Presidente. Farlo di nuovo, sull’onda di quanto iniziato nel 2016. E la notizia è che questa volta non è una sorpresa, ma una possibilità vera, credibile e realizzabile. Quattro anni fa il senatore indipendente del Vermont è entrato a gamba tesa nel dibattito mettendo in seria difficoltà Hillary Clinton. La sua credibilità come esponente dell’ala radical, appartenente più alla New Left americana che non alla tradizione liberal del Partito Democratico, ha avuto l’indubbio merito di mettere al centro dell’agenda concetti che mai prima d’ora avevano avuto questa importanza negli Stati Uniti. Assistenza sanitaria per tutti (accelerando la Obamacare, vera prima rottura dell’argine del problema della sanità pubblica americana); un aumento dei salari minimi, una revisione delle tasse per il college e l’università, andando verso un modello che qui in Europa dovremmo conoscere molto bene e difendere, quello dell’università pubblica quando non gratuita; un sistema di fiscalità progressivo per redistribuire e offrire servizi fondamentali per gli esclusi della globalizzazione. A questa agenda, che già nel 2016 rappresentava una risposta da sinistra alla Crisi Economica e ai suoi effetti sulla lunga distanza, si aggiunge la lotta ai cambiamenti climatici. Se gli Stati Uniti hanno una nuova coscienza verde è merito dell’ondata di consenso catturato dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez (la donna dell’anno, senza nessun dubbio, capace di spostare da sola l’attenzione su temi fondamentali per il nostro futuro) e al suo “Green New Deal” attorno al quale si sono raccolti molti fondi e molti militanti.

Quattro anni fa il senatore indipendente del Vermont è entrato a gamba tesa nel dibattito mettendo in seria difficoltà Hillary Clinton. La sua credibilità come esponente dell’ala radical, appartenente più alla New Left americana che non alla tradizione liberal del Partito Democratico, ha avuto l’indubbio merito di mettere al centro dell’agenda concetti che mai prima d’ora avevano avuto questa importanza negli Stati Uniti

Ocasio-Cortez, che per ora ha deciso di non supportare Sanders e di non rilasciare commenti a riguardo, è il più significativo risultato della prima campagna elettorale alla presidenza del Senatore del Vermont. Rompere l’argine e coagulare attorno a sé una grandissima carica di energia positiva, entusiasmo e, soprattutto, militanza giovanile, ha permesso non solo a certe idee di cominciare a girare, trovare cittadinanza in un paese che ha sempre visto l’intervento statale come il male assoluto, ma anche di costruire candidature credibili, di rottura e capaci di portare nelle stanze del potere una nuova agenda. Radicale? No, semplicemente di sinistra.

Il video con cui Bernie Sanders ha annunciato la sua discesa in campo elenca i punti fondamentali del suo programma. Dalla sanità gratuita all’università per tutti; dall’aumento dei salari minimi al controllo degli effetti dell’automazione («i cui frutti devono andare a chi lavora, e non solo a chi possiede la tecnologia»); dal Green New Deal a una politica estera improntata al pacifismo. È un programma che usa parole nette e senza compressi. Non dice “ma anche”, non cerca di ammiccare al centro. È un programma che riscopre la dimensione dell’essere di sinistra fuori da quel pensiero neo-liberale che ha ancorato a sé i partiti progressisti degli ultimi venti-trent’anni. Quei partiti che — in preda a una sorta di Sindrome di Stoccolma verso l’egemonia neoliberista propugnata da Thatcher e Reagan — hanno cercato di fare proprio il processo, proponendo una sorta di “neoliberismo dal volto pulito” tradotto nella teoria della Terza Via, che ha dominato la politica degli anni Novanta con Bill Clinton, con Tony Blair, con Jose Luis Zapatero, e a modo nostro anche con Romano Prodi e Massimo D’Alema. Possiamo girarci intorno finché vogliamo, ma è il caso di dire le cose come stanno: la socialdemocrazia che i partiti cosiddetti progressisti hanno proposto negli ultimi anni, era semplicemente un tentativo di convincersi che il libero mercato senza confini e senza regole potesse essere “ammansito” da una blanda politica di controllo di centro-sinistra. Anno dopo anno, venendo meno le basi valoriali del discorso di sinistra (creare equità sociale per tutti, per fare in modo che nessuno resti indietro, e lottare tutti insieme per un mondo migliore), si è svuotato il senso della parola sinistra, ormai sempre più blanda, usata più per rendita di posizione che per vera convinzione, tracimata dentro il Partito Democratico: il sogno veltroniano di avere un partito americano e per sua natura convergente e liberal, e portato a compimento da Matteo Renzi, che sul tema del merito e del lasciare indietro chi non ce la fa forse ha ben più di una responsabilità (basti vedere come continua a dare contro al concetto di reddito di cittadinanza, come continua ad opporsi alla concertazione sindacale e come resti convinto che le elezioni si vincano al centro: altro che un’altra strada).

«Tre anni fa quando portammo avanti la nostra agenda progressista ci dissero che le nostre idee erano ‘radicali’ ed ‘estreme’. Ebbene, tre anni sono passati e queste politiche sono sostenute più che mai dalla maggioranza degli americani.»

Forse la sinistra più che cercare nuove formule magiche dovrebbe semplicemente ricordarsi “come si fa”. Tornare a credere nella legittimità della lotta di classe, ponendosi però non dalla parte dei padroni, eh, ma da parte degli sfruttati. Tornare a credere che sia inaccettabile che una decina di miliardari posseggano la ricchezza di metà della popolazione del mondo (a questo proposito è interessante il rilancio di Bill Gates alla proposta di Alexandria Ocasio-Cortez di una tassa al 70% per i super-ricchi. Guarda al bersaglio grosso, non tassare gli stipendi dei CEO, tassa i redditi, le rendite e le successioni: è lì che alberga la ricchezza accumulata vera. E lo dice Bill Gates, non Michail Bakunin). Tornare a lottare per un’istruzione di qualità alla portata di tutti, perché l’istruzione e la cultura devono tornare a essere strumenti di emancipazione. Tornare a pensare che non si possa lasciare indietro chi non ce la fa a reggere i ritmi della competizione in un capitalismo fuori controllo, senza confini e che impone una costante gara al ribasso che peggiora stipendi e condizioni di vita.

L’entusiasmo dei giovani americani attorno alle proposte che Bernie Sanders è stato il primo a portare nell’arena politica segnano un possibile cambio di rotta. «Tre anni fa quando portammo avanti la nostra agenda progressista ci dissero che le nostre idee erano ‘radicali’ ed ‘estreme’. Ebbene, tre anni sono passati e queste politiche sono sostenute più che mai dalla maggioranza degli americani», dice il senatore nel suo messaggio video. Secondo un sondaggio di Gallup, meno della metà dei giovani americani si dichiara affascinata dal capitalismo. Questo perché per la prima volta, persone cresciute dentro il “realismo capitalista” vedono la possibilità di un’alternativa, e che a dirglielo sia uno con l’età dei loro nonni che negli anni Sessanta si è preso le sue buone manganellate per difendere le lotte in cui credeva, non fa che aumentare la credibilità di questo messaggio. Non a caso, un giorno dopo l’annuncio della candidatura, Sanders ha raccolto 6 milioni di dollari da oltre 220 mila donatori. Segno che il lavoro iniziato nel 2016 non si è mai fermato, che giorno dopo giorno si è tessuta una rete lungo tutti gli Stati Uniti, e che il messaggio è rimasto forte e chiaro. Sanders vuole un milione di volontari per costruire il più grande cambiamento politico della storia americana. Chissà che questa volta non ci si riesca veramente. A conti fatti, sarebbe una vera rivoluzione. E la sinistra di tutto il mondo potrebbe risvegliarsi semplicemente ricordandosi che la ricetta l’ha sempre avuta, basta solo ricordarsi dove la si è lasciata e sbarazzarsi delle ansie e dalle paure che decenni di imposizione del paradigma neo-liberale hanno reso quasi inestricabili. Chiamateli pure radicali, questi americani: loro hanno ritrovato il coraggio di essere di sinistra e di lottare per quello in cui credono. A quando il nostro turno?

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