Stare sul mercato per una piccola impresa o per una startup, oggi, è un’impresa ardua, prima di tutto perché la capacità di attirare l’attenzione degli stakeholders (da quelli industriali a quelli mediatici) è funzione diretta della capacità di distinguersi, essere dei leader, fare numeri importanti e dimostrare di fare qualcosa che giustifichi appieno la propria esistenza in mezzo a tante iniziative ugualmente interessanti (spesso di piú) e che magari hanno più risorse per crescere.
Lavorando quotidianamente con le startup ho notato che ogni team pieno di entusiasmo soffre di bias cognitivi di valutazione che lo inducono a percepire il proprio progetto o troppo grande rispetto alle sfide che si accinge ad affrontare (perché non ne percepisce la complessità) o irrimediabilmente piccolo anche davanti agli adempimenti più basilari e alle piccole opportunità che incontra.
Ho notato come questa percezione di maggiore o minore forza inizialmente, è sempre direttamente collegata alla quantità di risorse a disposizione (denaro, persone, relazioni, beni e impianti). Chi ha molte risorse, in alcuni casi, non si preoccupa esageratamente di sviluppare senso critico su come dovrebbe essere affrontato il mercato e, in fatto di comunicazione, segue un po’ le mode, chi ne ha troppo poche si fa mille domande, non utilizza le poche risorse che ha cercando di non disperderle inutilmente e il risultato è l’immobilismo.
Una tendenza comune a tutti, però, è quella di considerare abbastanza normale la pratica di sovrastimarsi o raccontare una proiezione futuristica di sé al mondo esterno, ricorrendo al fake a mani basse.