Dopo gli animali, l’ambiente marino, l’acqua e gli ecosistemi del Golfo del Messico, lo spillover della Deepwater Horizon del 2010 (qualcuno lo ricorda ancora?) ha fatto un’altra, ennesima vittima: i sottomarini nazisti.
Gli oltre cinque milioni di barili di petrolio dispersi nel mare hanno causato danni alla vita mrina ma, come spiega la rivista Frontiers in Marine Science, alcuni scienziati dell’Università del Southern Mississippi hanno potuto notare come la perdita abbia inacidito l’acqua che, nel giro di pochissimo tempo, ha corroso i relitti nazisti affondati.
Il problema riguarda in particolare il metallo di un sottomarino tedesco U-166 affondato nell’Atlantico mentre era impegnato a colpire le navi mercantili e militari americane – un’operazione meglio nota come “Secondo Tempo di Felicità” o “Stagione di caccia americana”. Il sottomarino, colpito dalle raffiche di una nave, è andato ad appoggiarsi nel Golfo del Messico, per venire ritrovato dagli archeologi nel 2001.
Poco male, dirà il lettore comune: un rottame era, e un rottame rimarrà. Ma la questione, come sottolineano gli scienziati, è un’altra. All’origine della corrosione del sottomarino ci sarebbe un tipo particolare di batteri. Il surplus di carbonio e zolfo finito ha ingigantito le comunità batteriche, creando una pellicola intorno al metallo della nave che, nel giro di poco tempo, ha corroso il materiale. La conclusione degli scienziati, che hanno sottoposto il materiale dei sottomarini a una serie di esperimenti in acque diverse, è semplice: esiste una correlazione tra alta presenza di idrocarburi e maggiore attività batterica. Per questa volta si sono accaniti su un relitto della Seconda Guerra mondiale. Per la prossima, chi lo sa.