Non c’è Paese al mondo che non abbia una propria lingua per la politica. In Italia tutti sanno cosa è il “ribaltone”, alcuni hanno ancora dubbi sul “canguro”, ma i più anziani non vacillano di fronte alle “convergenze parallele”, all’”inciucio”, alla “bicamerale”. Dal 1994, chi entra in politica “scende in campo”, e il diritto d’autore è tutto di Berlusconi (tanto che Mario Monti, per rovesciare il concetto, parlava di “salire in politica”) e chi ci rimane con accordi, fa “larghe intese”.
Chi vive in Italia è ormai scafato. Ma chi dovesse andare in Africa dovrebbe, prima di tutto, consultare un dizionario apposito (questo).
Scoprirebbe, per esempio, che in Kenya esiste la “negotiated democracy”, cioè la condivisione di rispettive posizioni politiche tra comunità diverse, prima di un’elezione. Un pre-accordo, insomma, che serve a evitare conflitti successivi. Allo stesso scopo serve lo “zoning” nigeriano, cioè la pratica dell’alternanza della presidenza tra nord e sud. Un modo per evitare che una delle due comunità sia esclusa dal potere.
In Ghana e in Kenya, ancora, le espressioni della politica vengono tratteggiate dal mondo della sartoria: un “three-piece suit voting”, ossia una votazione per un “abito non spezzato” significa sostenere lo stesso partito sia per le elezioni presidenziali e legislative. Il contrario è, invece, “skirt-and-blouse-voting”, cioè tailleur, gonna e camicia.
Apprezzabile è anche la “watermelon politics”, cioè quella dell’individuo che si dice di un partito ma che, in realtà, appartiene a un altro (verde fuori, rosso dentro). Nasce in Zambia dove gli attivisti dello United Party of National Development (i rossi) facevano finta di stare con il partito al governo, il Patriotic Front, che è verde.
Il francese “glissement”, che significa “scivolamento”, viene impiegato per indicare la tecnica dilatoria dei partiti al potere di far slittare le elezioni fino a data da destinarsi. Il primo è stato Kabila, in Congo. E poi quando si parla di “alternance”, si intende l’impegno di inserire dei limiti al numero di volte in cui un presidente può essere eletto.