Di solito gli studenti del Mit di Boston sono famosi per porsi domande e risposte che cambiano il mondo. Nel tempo libero, si chiedono anche: “Perché non buttiamo un pianoforte rotto da un tetto?”.
È la tradizione del “piano drop”, nata nel 1972 ed escogitata dallo studente Charlie Bruno. Tutto nasce da un problema di difficile soluzione: che cosa fare di un pianoforte rotto e inservibile che occupava Baker House? Alcuni studenti, in una riunione, hanno proposto di buttarlo giù dalla finestra. Purtroppo il regolamento, molto rigido, impediva di buttare qualsiasi cosa dalla finestra, figurarsi un pianoforte. È a quel punto che il genio (per così dire) di Charlie Bruno viene loro in aiuto: se è proibito buttarlo dalla finestra, ha detto, non sarà proibito buttarlo giù dal tetto. E, data un’occhiata al regolamento, ha scoperto di avere ragione.
Si fece una mozione, passò con il tipico entusiasmo accordato dagli studenti alle cose stupide, si preparò la pedana e si buttò il pianoforte dall’edificio.
Fu così un spasso che venne ripetuto ogni anno: addirittura, venne spostato il giorno del lancio (“drop”) fino a farlo coincidere con il Drop Day, l’ultimo giorno di lezione del semestre primaverile, dimostrando un acuto senso dell’umorismo.
Ma non è tutto: le fervide menti del MIT hanno anche coniato, da questa tradizione, anche una unità di misura: il bruno. Dal nome dell’ideatore del lancio del piano, il bruno misurerebbe il grado di ammaccatura lasciata sul suolo dal pianoforte.
Con gli anni la tradizione è diventata rito: al pianoforte (che viene regalato, già rotto e inservibile) vengono attaccati coriandoli e caramelle prima del volo. Dopo la caduta, gli studenti si affollano a recuperarne i pezzi: portano fortuna. In più, insieme al lancio, viene organizzata anche una festa, con una torta enorme e magliette “Just Drop It”. Merchandising e rituale, pianoforti e mitologie, che raccontano più di un trattato di antropologia cosa succede tra quelle mura geniali.