Il clima non sta bene. Ma le persone sembrano disinteressarsene. Come è possibile? Un po’, sostiene questo report del World Economic Forum, è colpa dei politici: prendono decisioni solo quando vedono che sono richieste, con forza, dal loro elettorato. Un po’, invece, è colpa degli elettori stessi, che non agiscono a livello locale, privato, minimo, per attrezzarsi a risolvere la questione. Perché, di fronte alla minaccia di venti molto forti, ci si prepara rinforzando le mura di casa e, invece, quando si parla del cambiamento climatico, non si fa nulla?
Il rischio, spiegano alcuni psicologi del comportamento, è sottovalutato. Il coinvolgimento emotivo è minimo, se non assente: il pericolo appare lontano, sia nel tempo che nello spazio, ed è questo lo stimolo vero che spinge le persone a prendere precauzioni, non un calcolo di costi e benefici.
Il cambiamento climatico, in questo senso, sfugge alla nostra comprensione: è difficile da visualizzare, impossibile da rendere in immagini (a parte i ghiacci che si sciolgono, ma – appunto – sono lontani). Questo, spiega, è un problema di comunicazione.
Da un lato, la lingua degli scienziati (tecnica, accessibile a pochi) diventa difficile da tradurre per le persone comuni. Dall’altro, la distanza è anche mentale, sociale, politica. Le persone più a rischio sono anche quelle che, ogni giorno, vivono in mezzo ad altre preoccupazioni: salute, soldi, lavoro, attenzione per la famiglia. Preoccuparsi per il clima appare lunare: anche di fronte alle minacce di tifoni ci sono persone che, pur di controllare il bestiame ed evitare che qualcuno lo rubi, sceglie di rimanere a casa, anche se sarà travolto dai venti. Sono questioni di priorità. Ed è qui che i buoni comunicatori devono intervenire.