Agli archeologi basta poco per capire le ultime fasi di una civiltà. Di solito vengono prese, come testimonianze principali, i segni di scontri (incendi, distruzioni), alcuni documenti specifici (lettere sull’instabilità politica), i resoconti degli storici. Nel caso della città bizantina di Elusa, nel deserto del Negev, in Israele, le cose sono diverse. La civiltà stava crollando perché gli abitanti avevano smesso, da tempo, di raccogliere la spazzatura.
Gli studiosi lo hanno scoperto raccogliendo e datando i reperti trovati nella montagnetta su cui si erano accampati – che era, ironia della sorte, un antico mucchio di spazzatura. I pezzi di vasi bizantini, i noccioli di oliva, le ossa animali raccolti e analizzati risalivano, secondo la datazione data dal carbonio, ad almeno un secolo prima a quello che, fino ad allora, era considerata la data del collasso definitivo della città, intorno al VI secolo d.C. Gli abitanti hanno prima smesso di raccogliere la spazzatura e poi, nel tempo, hanno abbandonato il centro.
All’epoca la raccolta dei rifiuti era un sistema organizzato, un’attività pubblica gestita dalle istituzioni. Il fatto che sia stata interrotta all’improvviso risulta piuttosto singolare. Secondo alcuni scienziati, la causa principale sarebbe da ricercare nell’arrivo degli islamici nella regione. Elusa era un centro importante del Mediterraneo per la produzione del vino: i nuovi vicini (con nuove abitudini) avrebbero ostacolato, osteggiato, impedito lo svolgimento della principale attività economica della città, provocandone una rapida decadenza.
Questa teoria, però, non quadra con la nuova datazione, che anticipa l’inizio della fine di Elusa di almeno 100 anni e scagiona, in questo modo, i vicini islamici. Forse, suggeriscono altri archeologi, la causa principale va ricercata nel Climate Change, o meglio in quella versione del cambiamento climatico che fu la Piccola Era Glaciale del Tardoantico, un periodo di abbassamento drastico delle temperature dovuto a tre imponenti eruzioni vulcaniche (una nel 536, una del 540 e una nel 547). Il nuovo freddo avrebbe causato la migrazione in massa delle popolazioni della steppa verso la Penisola araba (e da lì nel Mediterraneo). Un fenomeno disastroso: scontri, guerre, carestie e perfino – secondo alcuni – anche una epidemia di peste, responsabile della morte di 100 milioni di persone nel 590. È possibile che i sommovimenti climatici e sociali della regione, magari andando a colpire la coltivazione della vite, abbiano provocato la fine di Elusa: questo gli scienziati non lo dicono, ma non lo escludono nemmeno. Di sicuro, non sarebbe sorprendente che il clima che cambia, e la raccolta dei rifiuti interrotta, portino al collasso della civiltà. È già accaduto in passato, sappiamo bene che, purtroppo, può accadere ancora.